In real grazia egli era, e in me speranza
Molta ponea; che ogni mio danno avria
Riparato da re; che tu verresti
A trattar meco; io condiscesi: un pegno
Chiese da me; tosto de’ Franchi al campo
Nascosamente il mio figliuol mandai
Messo insieme ed ostaggio: e certo ancora
Del mio voler non sei? Fermo è del pari
Carlo nel suo?
svarto.
Dubbiar ne puoi?
guntigi.
Ch’io sappia
Ciò ch’ei desia, ciò ch’ei promette. Ei prese
La mia cittade, e ne fe’ dono altrui;
Nè resta a me che un titol vano.
svarto.
E giova
Che dispogliato altri ti creda, e quindi
Implacabile a Carlo. Or sappi; il grado
Che già tenesti, tu non l’hai lasciato
Che per salir. Carlo a’ tuoi pari dona
E non promette: Ivrea perdesti; il Conte,
Prendi,
(gli porge un diploma)
sei di Pavia.
guntigi.
Da questo istante
Io l’ufizio ne assumo; e fiane accorto
Dall’opre il signor mio. Gli ordini suoi
Nunziami, o Svarto.
svarto.
Ei vuol Pavia; captivo
Vuole in sua mano il re: l’impresa allora
Precipita al suo fin. Verona a stento
Chiusa ancor tiensi; tranne pochi, ognuno
Brama d’uscirne, e dirsi vinto: Adelchi
Sol li ritien; ma quando Carlo arrivi,
Vincitor di Pavia, di resistenza
Chi parlerà? L’altre città che sparse
Tengonsi, e speran nell’indugio ancora,
Cadon tutte in un dì, membra disciolte
D’avulso capo: i re caduti, è tolto
Ogni pretesto di vergogna: al duro