Di Quei, ch’eterna ciò che a Lui somiglia.
Che fin ch’io non la veggo, e ch’io son certo
Di mai più non lasciarla, esser felice
Pienamente non posso. A questi accenti
Chinammo il volto, e taciti ristemmo: 100Ma per gli occhi d’entrambi il cor parlava.
Poi che il pianto e i singulti a le parole
Dieder la via, ripresi: a le sue piaghe
Sarà dittamo e latte il raccontarle
Che del tuo dolce aspetto io fui beato, 105E ridirle i tuoi detti. Ora, per lei
Ten prego, dammi che d’un dubbio fero
Toglierla io possa. Allor che de la vita
Fosti al fin presso, o spasimo, o difetto
Di possanza vital feceti a gli occhi 110Il dardo balenar che ti percosse?
O pur ti giunse impreveduto e mite?
Come da sonno, rispondea, si solve
Uom, che nè brama nè timor governa,
Dolcemente così dal mortal carco 115Mi sentii sviluppato; e volto indietro,
Per cercar lei, che al fianco mio si stava,
Più non la vidi. E s’anco avessi innanzi
Saputo il mio morir, per lei soltanto
Avrei pianto, e per te: se ciò non era, 120Che dolermi dovea? Forse il partirmi
Da questa terra, ov’è il ben far portento,
E somma lode il non aver peccato?
Dove il pensier da la parola è sempre
Altro, e virtù per ogni labbro ad alta 125Voce lodata, ma nei cor derisa;
Dov’è spento il pudor; dove sagace
Usura è fatto il beneficio, e brutta
Lussuria amor; dove sol reo si stima
Chi non compie il delitto; ove il delitto 130Turpe non è, se fortunato; dove
Sempre in alto i ribaldi, e i buoni in fondo.