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sulla lingua italiana 649

e senza bisogno d’una scelta avvertita, avrebbe obbligati gli uni a riconoscere l’importanza del termine, e gli altri a vedere quale sia il suo vero significato, fu cagione che un termine così opportuno, così spiegante e così solenne presso le nazioni dove una lingua è in fiore, fosse presso di noi bandito dagli uni e applicato a rovescio dagli altri.

Da quel primo momento in poi, essendo le cagioni del male, non solo durate, ma sempre cresciute; e rimanendo, o ignorato o dimenticato, o deriso quello che sarebbe stato il riparo, la cosa è venuta a segno, che dà nell’occhio anche ai più indifferenti in tale materia. E, per verità, non può non parere strano che, mentre vantiamo questa nostra lingua comune la si veda poi andar rubacchiando a man salva tanta parte di ciò che, come lingua, dovrebbe avere.

Ora, chi non vede, appena ci voglia guardare, che la cosa stessa, la quale, per la sua virtù naturale, avrebbe potuto essere il preservativo, potrebbe per quella virtù medesima, servir di rimedio? che alla mancanza delle circostanze che avrebbero potuto render note e famigliari in tutta l’Italia le locuzioni atte a chiuder l’adito ai gallicismi dannosi perchè superflui, può ancora supplire (non importa in quale misura, quando si tratta d’una cosa affatto bona) un altro mezzo qualunque di metterle in luce? e che un mezzo d’un effetto e generale e simultaneo è, in questa parte, come nel rimanente, un vocabolario che sostituisca l’unità alle sinonimie rivali, sia vecchie o recenti, sia italiane o venute da fuori? L’efficacia poi d’un tal mezzo crescerà a più doppi, qualora, seguendo l’ opportunissima indicazione dell’Illustre, Relatore di Firenze, si formi un manuale di que’ gallicismi, ai quali si mettano a fronte lo equivalenti locuzioni toscane, che saranno naturalmente quelle medesime o registrate o da registrarsi nel vocabolario. Sarebbe, mi pare, un’ingiusta diffidenza il supporre che anche il più trascurato e il più affrettato scrittore rifiutasse di profittare d’un aiuto così comodo e così spedito. E ciò che deve accrescer la fiducia del contrario, è il vedere in vari di quegli scritti, mescolate con de’ gallicismi, alle volte stranissimi, delle utili locuzioni toscane, divolgate recentemente in Italia da qualche celebre e accetto scrittore toscano. E non c’è egli in questo fatto un motivo di credere che il non valersi da vantaggio del bon mezzo, non venga da noncuranza, ma dal non averlo alla mano? Prima d’abbandonare quest’argomento, crediamo ben fatto di dissipare un equivoco che potrebbe far trovare a qualche lettore una contradizione con ciò che s’era detto e cercato di dimostrare in più d’un, altro luogo. Abbiamo osservato qui un fatto singolare e quasi unico, d’una vastissima diffusione d’una lingua; e per qual mezzo? Per quello principalmente dei libri e degli scritti d’ogni genere, mezzo tanto potente e sufficiente in questo caso, che, tra le cause della sorte straordinaria della lingua francese, non c’è nemmeno venuto in mente (e ce ne avvediamo solamente ora) di contare il suo vocabolario. Ma si osservi che que’ libri poterono produrre un tale effetto, appunto perchè non era una lingua loro propria, cioè una lingua metaforica, che portassero intorno, ma una lingua davvero. Fu ed è, in certo modo un’estensione della convivenza; que libri sono quasi una moltitudine di francesi vivi e parlanti, che girano il mondo. Per noi, che dagli scritti non abbiamo finora avuto, a un gran pezzo, un aiuto simile, potrà essere utilissimo, anzi essere intanto riguardato come primario, un mezzo d’inferiore potenza, ma appropriato e conducente anche esso all’intento. Ed è per questo riguardo, che in quel luogo della Relazione, dove s’è detto che «uno de’ mezzi più efficaci e d’un effetto più generale per pro-