Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/653


sulla lingua italiana 647

delle parti, per un tempo, e poi da quelli d’una corte ambiziosa, e elegante; dall’essere immischiate in tutto ciò varie donne diventate e rimaste celebri per vivacità e raffinatezza d’ingegno; e alcune, per di quegli scritti, dove il parlare entragioni, l’Uso di quella città, il quale, fino dalla sua debole origine, costituiva la lingua francese, si trovò, e ricco abbastanza per somministrare a quei grandi scrittori materia sufficiente a esprimere i loro concetti d’ogni genere, e abbastanza forte per obbligarli a star con lui, sotto pena di parere strani alla parte più incivilita della nazione. Questo fece che poterono essere, nello stesso tempo, e classici e moderni: classici per lo stile, moderni per la lingua,

E perchè i libri formati (a dovere, sconviene anche oggi a quelli di cui parliamo, tanto è scarso, insignificante il numero delle locuzioni di que’ libri cadute in disuso, e lasciate perciò indietro dall’ultima edizione del Dizionario dell’Accademia Francese. Di qui venne che da quei classici s’impara anche a parlare: ciò che non si può dire, a un gran pezzo, de’ nostri; del che nessuno m’immagino, desidera le prove; e le cagioni, quantunque importanti, lo spazio non comporta che tocchino qui.

Accenneremo invece, giacchè è cosa di non molte parole, un altro fatto che ci pare notabile, ed è che le nostre speciali e, direi quasi, croniche questioni in fatto di lingua si sono andate aggirando, quasi esclusivamente, sullo scrivere; e del parlare non se n’ è fatta, menzione, se non di rarissimo e per incidenza, come se fosse una cosa, o estranea o meramente accessoria al concetto e agli effetti d’una lingua. E può parere strano che questo nome stesso di lingua ripetuto da que’ disputanti migliaia e migliaia di volte, rimandato, e palleggiato dagli uni agli altri, non richiamasse loro alla mente, col marchio della sua origine, e col suono medesimo, il suo significato primitivo e unicamente necessario; e non gli avvertisse che, sia per procurare una lingua all’Italia, sia per dimostrare che l’avesse già, si doveva tenere almeno conto d’altro che della penna. Ma è un fatto pur troppo non insolito, che la mancanza de’ mezzi faccia dimenticare il bisogno della cosa.

Un altro vantaggio che l’omogeneità dell’Uso nel parlare e nello scrivere, portò alla lingua francese, come aveva fatto alla latina, fu che, a comporre quell’eletto drappello di scrittori, poterono concorrere uomini di tutte le province, che, andati a vivere nella capitale, ci portavano il loro ingegno, e la lingua ce la trovavano; e servirono in parte, e in gran parte, al suo progresso e alla sua celebrità1.

Dietro a quel suo primo e solenne momento, non tardò à venirne un altro, se non così cospicuo per la perfezione de’ lavori, assai più potente a diffonderla, per una novità insieme e universalità d’intenti, per una quantità di questioni intorno ai bisogni, alle leggi, alle consuetudini de’ diversi popoli, e ai mezzi di migliorarne le condizioni. I primi, e pochi da principio, a sentir quest’influsso in Italia, furono naturalmente ingegni svegli e attivi, che non tardarono a prendere una non piccola parte nell’impresa, e qualcheduno anche una parte primaria, quale, e per l’importanza e per la generalità e per la celerità dell’effetto, fu quella del sapiente e coraggioso oppugnatore della scienza e della pratica criminale,

  1. Pascal di Clermont-Ferrand, Corneille di Rouen, Bourdaloue di Bourges, Bossuet di Dijon, Racine della Ferté-Milon, la Fontaine di Chateau-Thierry, Labruyère di Normandia, Fénélon del Quercy, Massillon di Hyères, oltre più altri di minor grido, ma che ebbero una non ignobile parte nell’effetto.