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646 appendice alla relazione


Quella felice prepotenza s’andò più tardi estendendo ai paesi di Langue d’oc, a pari con l’annessione de’ territori, e in qualche luogo anche prima. Una, con cui parrebbe che il francese avesse dovuto sostenere una più dura e lunga guerra, è quella lingua provenzale, celebre, imitata e anche coltivata in varie parti d’Europa. Ma tutt’altro: quando, sulla fine del secolo decimo quinto, la Provenza fu annessa alla Francia, quella lingua, o piuttosto quella poesia, era già morta nel suo letto, da più d’un secolo e mezzo1. Lingua, cantata e scritta da alcuni, ma non parlata da un popolo; parte solamente, e parte artifiziata d’un vero idioma; circoscritta ad alcuni argomenti, e in questi ad alcuni concetti prestabiliti; non solo non avrebbe potuto diventar mai lingua comune, ma non aveva neppure in sè la ragione di vivere indefinitamente per conto suo, nulla più della sua imitatrice di cui s’è parlato sopra; giacche’ ne doveva nascere ugualmente una sazietà che svogliasse e dall’udirla e dal coltivarla. Per far morire una tale, se l’abbiamo a chiamar lingua, non c’era bisogno di cause esterne, nè di sostituirgliene un’altra: bastava che cessasse la moda de’ Trovatori.

Senza estenderci più a lungo intorno ai progressi della lingua francese entro i confini della nazione, possiamo arrivar subito e con sicurezza a ciò che tocca più strettamente il nostro argomento, cioè ad osservar la cagione per cui, in un dato momento, quella lingua, principiò ad attirare e soprattutto a trattenere stabilmente l’attenzione dell’altre parti colte d’Europa, più che non fosse mai riuscito a verun’altra lingua moderna. E questa cagione fu, se non m’inganno, l’essere, come accadde nel latino, i suoi grandi scrittori venuti tardi: cioè quando, e per la cresciuta popolazione della capitale, e per una spinta straordinaria data agli ingegni della parte scelta di essa da questioni e religiose e politiche; dalle lotte tra il parlamento e la corte; da una singolare guerra civile che aveva animate le passioni senza render feroci i costumi; dagli intrighi stessi

    Un troviere lionese dello stesso secolo, Aymon de Varennes, autore d’un romanzo, in versi s’intende, intitolato Florimont, dice «di non averlo scritto in Francia, ma nella lingua de’ Francesi, per i quali la sua è salvatica; e che s’è ingegnato a scrivere nella loro, alla meglio, giacchè ai Francesi non piace, nè romanzo, nè storia se non è roba loro:»

    Il ne fut mie fair en France,
    Mais en la langue des Françoys;
    Le fast Aymes en Leones....
    Aux Françoys veult de tant servir
    (Car ma langue leur est sauvage,)
    Que j’ay dit en leur langage,
    Tout au mieux que je ay sceu dire....
    Romans ne histoire ne plait
    Aux Françoys, se ils ne l’ont fait.


    Ibid. pag. 36, 37.

    Un altro, nativo di Meun, città dell’Orleanese, nell’epilogo d’una traduzione poetica della Consolazione di Boezio, adduce per scusa «del suo linguaggio rozzo, zotico, e salvatico il non esser lui nato a Parigi:»

    Si m’excuse de mon langage
    Rude, malostru et sauvage;
    Car nez ne suis pas de Paris.


    Un altro, Richard de Lison, avverte «che lui è normanno, e che perciò non deve esser ripreso se gli saranno scappati de’ termini del suo linguaggio:»

    Qu’il est Normand; s’il a mepris,
    Il n’en doit ja estre repris,
    Se il y a de son langage.


    Ibid. pag. 37.

  1. Fauriel, Histoire de la Poésie Provençale. T. I, Chapit. I, pag. 1.