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sulla lingua italiana 631


Limitando a queste osservazioni ciò che riguarda la materia del Vocabolario, passo all’altro dei due capi accennati da principio, cioè al metodo da seguirsi nel comporlo. E anche per questa parte, il Dizionario dell’Accademia Francese ci potrà somministrare un esempio vivo e opportunissimo.


II.


Nella Relazione di Firenze è proposto, come s’è potuto vedere dal brano trascritto qui sopra, un processo con cui cavare, per eliminazione, da diversi Vocabolari e da altri scritti, una raccolta di parole, di costrutti e di maniere della lingua viva, che ci si trovano mescolate con la lingua propria dei libri.

Non posso qui a meno di non osservare che questo processo (credo affatto novo) d’eliminazione, essendo fondato su de’ fatti particolari ed accidentali, non potrebbe conciliarsi col principio generalmente riconosciuto che ogni metodo deva avere una sua propria norma ricavata dalla natura del soggetto a cui s’abbia a applicare.

Si vuol forse dire con questo, che i compilatori d’un novo vocabolario non devono profittare dell’aiuto de’ vocabolari antecedenti, ne’ quali, invece d’andar cercando, come a tasto, nella loro memoria ogni vocabolo, ne trovano una certa quantità, che possono servire, per quella parte, come di proposte e di suggerimenti immediati? Tutt’altro; ma ho detto, proposte, suggerimenti, mezzi di provocare la memoria, non decisioni da accettarsi a priori, senza aver altro a fare, che levarle, dalla mescolanza in cui si trovano, e trascriverle; giacchè dovendo que’ compilatori seguire, come s’è detto, una norma prescritta dal soggetto medesimo, non devono, per conseguenza riconoscere altre autorità, le quali, per quanto rispettabili, non potrebbero essere, se non arbitrariamente accettate.

Mi sia permesso anche d’osservare che la Relazione stessa di Firenze, volendo che, a ciò che si sarà ricavato da que’ documenti, «s’aggiungano a schiarimento ed ajuto, alcune brevi dichiarazioni e frasi opportunamente scelte da Toscani periti del parlare nativo», viene a conceder loro un’uguale facoltà sul tutto; non c’essendo tra quella prima parte di vocaboli, e quest’altra da potersi aggiungere, veruna immaginabile differenza, fuorchè quella materiale, prodotta da un mero caso estrinsico.

All’intento che s’è detto sopra, potranno poi anche servire, in una maniera indiretta, i più copiosi tra i Vocabolari di dialetti italiani, suggerendo con de’ loro vocaboli e modi di dire i corrispondenti toscani1, e nella stessa maniera, anche qualche Dizionario di lingue straniere, e segnatamente, quello dell’Accademia Francese, per la copia de’ suoi materiali della quale avremo or ora l’occasione d’inserire un saggio.

Non è del nostro argomento il trattare delle norme speciali e pratiche per la composizione d’un vocabolario, ma solamente il mettere in chiaro quale ne deva essere la norma fondamentale. Anzi, se non m’inganno, la cosa si può dir fatta. Posto che l’Uso sia la propria materia d’un vocabolario, ne segue che il criterio per sceglierne i materiali non possa esser altro che l’Uso medesimo: criterio che, appunto per essere il vero, è anche e il più fecondo, perchè applicabile alla lingua tutta quanta, e il

  1. Servendomi di questa denominazione invalsa a cagione della molta somiglianza che passa tra gl’idiomi toscani, credo utile di rinnovare l’avvertenza, che, quando si tratti di determinare il mezzo di dare all’Italia una lingua comune, quella denominazione, non può esser intesa, che d’uno solo degl’idiomi toscani.