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noni opposti affatto al Vangelo; e li proponeva con una tale asseveranza, con un tale impero, con tali minacce di compassione sprezzante per chi esitasse nell’ammetterli, che molti deboli, ricevendo quei canoni, furono persuasi che la scienza del Vangelo fosse corta e meschina; che i suoi precetti non avessero potuto comprendere tutto il possibile svolgimento delle relazioni sociali; e molti altri, credendo di adottare verità puramente filosofiche, adottavano, con una docilità non ragionevole, delle dottrine opposte al Vangelo. Ed ecco, che, per un progresso naturale delle scienze economiche, per un più attento e esteso esame dei fatti, per un ragionato cambiamento di princìpi, altri scrittori, in questo secolo, hanno scoperta la falsità, e il fanatismo di quei canoni, e sul celibato, sul lusso, sulla prosperità fondata nella rovina altrui, sopra altri punti ugualmente importanti, hanno stabilite dottrine conformi ai precetti, e allo spirito del Vangelo; e, s’io non m’inganno, quanto più quella scienza, diventa ponderata e filosofica, tanto più diventa cristiana. E quanto più considero, tanto più mi pare, che il sistema romantico tenda a produrre, e abbia cominciato a produrre nelle idee letterarie un cambiamento dello stesso genere.
Se dovessi scrivere questi pensieri per la stampa, mi troverei costretto a soggiungere qui subito molte restrizioni, perchè altri non credesse, o non volesse credere, ch’io intenda, che il sistema romantico renderà spirituale tutta la letteratura, farà dei poeti tanti missionari, ecc. Ma scrivendo a Lei, se diffido delle mie idee, ho almeno la sodisfazione d’esser certo, che saranno prese secondo la loro misura; e in tante lungaggini, posso almeno risparmiarle quelle, che sarebbero destinate a prevenire le false interpretazioni, e quell’affettato frantendere che molti trovano più comodo e più furbo dell’intendere.
Dopo d’averle, a diritto e a rovescio, e forse con più fiducia che discrezione, sottomesso il mio parere sopra una materia toccata appena indirettamente nella gentilissima di Lei lettera, non so, se mi rimanga ancora qualche diritto di parlare dei punto ch’Ella ha accennato più espressamente, voglio dire il trionfo, o la caduta probabile dei sistema romantico. Ma, giacchè in più luoghi di questa cicalata, mi sono preso la libertà di proferire, con molta confidenza, de’ pronostici lieti per quel sistema, i quali a prima vista, possono parere in opposizione col fatto, non posso a meno di non sottometterle anche le ragioni di quei pronostici, quali mi par di vederle nello stato reale delle cose, rimosse le prime apparenze.
Certo, se uno straniero, il quale avesse sentito parlare dei dibattimenti, ch’ebbero luogo qui intorno al romanticismo, venisse ora a domandare a che punto sia una tale questione, si può scommettere mille contr’uno, che si sentirebbe rispondere a un dipresso così: - Il romanticismo? Se n’è parlato qualche tempo, ma ora non se ne parla più; la parola stessa è dimenticata, se non che di tempo in tempo vi capiterà forse di sentire pronunziar l’epiteto romantico per qualificare una proposizione strana, un cervello bislacco, una causa spallata; che so io? una pretesa esorbitante, un mobile mal connesso. Ma non vi consiglierei di parlarne sul serio: sarebbe come se veniste a chiedere, se la gente si diverte ancora col Kaleidoscopio. — Se l’uomo, che avesse avuta questa risposta, fosse di quelli che sanno ricordarsi all’opportunità, che una parola si adopera per molti significati, e insistesse per sapere, che cosa intenda per romanticismo il suo interlocutore, vedrebbe, che intende non so qual guazzabuglio di streghe, di spettri, un disordine sistematico, una ricerca stravagante, una abiura in termini dei senso comune; un romanticismo insomma, che si sarebbe avuta molta ragione di rifiutare, e di dimenticare, se fosse stato proposto da alcuno.