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non è comandata, se non dove è sommamente ragionevole; cioè in quei punti, nei quali la verità non si può sapere, che per la testimonianza di chi ne ha ricevuta la rivelazione, cioè della Chiesa; e non è comandata questa concordia, se non dal momento, che l’unico testimonio ha parlato. Ma, nelle cose umane, questo testimonio non esiste, non è stata nè fatta, nè promessa ad alcuno una comunicazione di scienza, un’assistenza nelle decisioni; quindi i giudizi variano secondo la varietà degl’ingegni, e riescono generalmente così dissimili, che a chiamar uno un sistema, non si ricerca mai il fatto impossibile, che esso riunisca tutti i giudizi in una materia qualunque, ma il fatto difficile e raro, che ne riunisca molti, nei punti principali di essa.

Nel caso particolare poi del sistema romantico il rimprovero mi pareva molto stranamente applicato. Se quelli, che lo facevano, avessero voluto riandare la storia de’ sistemi umani, avrebbero trovato, io credo, che pochi furono quelli, che presentassero meno dissentimenti dal romantico. Se avessero fatto solamente un po’ d’esame sul sistema chiamato classico, al quale volevano, che si dasse la preferenza, avrebbero potuto veder subito quanto più gravi e più numerosi siano in quello i dispareri, le incertezze, le varie applicazioni; avrebbero veduto, quanto sarebbe più difficile il ridurlo a formule generali, il comporne una, per dir così, confessione che fosse comunemente ricevuta da coloro che ricevono la parola classico. E se avessero voluto voltarsi indietro a ricercar le cagioni d’una tale differenza tra le due dottrine, o opinioni, avrebbero dovuto, da una parte, riconoscere che questo non poter la loro esser ridotta in una forma sintetica, nemmeno apparente, veniva dall’essere, non una applicazione di principi a un complesso di casi speciali, ma un miscuglio di fatti accidentali, convertiti in princìpi; e per una certa quale consolazione (solatia victis), avrebbero potuto osservare che una cagione dei vantaggio che avevano in questo i Romantici, era il fatto già accennato anche qui, cioè il non essere andati molto avanti nell’applicazioni speciali e distinte al da farsi, dove sarebbero potute, o dovute nascer le discordanze, come tra degli alleati, uniti nel combattere un nemico comune, le cose s’imbrogliano quando, dopo la vittoria, si viene a trattare della distribuzione de’ territori conquistati.

Dove poi l’opinioni de’ Romantici erano unanimi, m’è parso, e mi pare, che fosse in questo: che la poesia deva proporsi per oggetto il vero come l’unica sorgente d’un diletto nobile e durevole; giacchè il falso può bensì trastullar la mente, ma non arricchirla, nè elevarla; e questo trastullo medesimo è, di sua natura instabile e temporario, potendo essere, come è desiderabile che sia, distrutto, anzi cambiato in fastidio, o da una cognizione sopravvegnente del vero, o da un amore cresciuto del vero medesimo. Come il mezzo più naturale di render più facili e più estesi tali effetti della poesia, volevano che essa deva scegliere de’ soggetti che, avendo quanto è necessario per interessare le persone più dotte, siano insieme di quelli per i quali un maggior numero di lettori abbia una disposizione di curiosità e d’interessamento, nata dalle memorie e dalle impressioni giornaliere della vita; e chiedevano, per conseguenza, che si dasse finalmente il riposo a quegli altri soggetti, per i quali la classe sola de’ letterati, e non tutta, aveva un’affezione venuta da abitudini scolastiche, e un’altra parte del pubblico, non letterata nè illetterata, una reverenza, non sentita, ma cecamente ricevuta.

Non voglio dissimulare nè a Lei (che sarebbe un povero e vano artifizio) nè a me stesso, perchè non desidero d’ingannarmi, quanto indeterminato, incerto, e vacillante nell’applicazione sia il senso della parola «vero» riguardo ai lavori d’immaginazione. Il senso ovvio e generico non può