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posizioni, che affermiamo ugualmente; e quando non vogliamo nè confrontarle tra di loro, nè abbandonarne nessuna, nè sappiamo farle andar d’accordo, ne inventiamo una terza, la quale mette la pace tra le parole, se non tra le idee, non serve al ragionamento, ma serve a dare una risposta, che in fine è quello, che più preme. Ma se anche una tale strana distinzione si volesse ammettere, cosa farne poi in pratica? come applicarla nel fatto? L’uomo che, nell’atto del comporre si trova combattuto tra la regola, e il suo sentimento, dovrà egli proporsi questo curioso problema: Son io, o non sono un grand’uomo? E come scioglierlo poi? — Oh! si fidi al suo genio, se ne ha; e lasci dire. — Si fidi! Veramente l’esperienza può inspirar molta fiducia; e come possono dire, si fidi, quelli per l’appunto, che vogliono tenere in vigore tutti quei mezzi, che sono sempre stati adoprati a levare la fiducia ai più forti ingegni, e l’hanno realmente levata a più d’uno di loro? Lasci dire! Mi pare, che invece di consigliare que’ pochi infelici, che portano la croce del genio, a non curare le nostre parole, sarebbe tempo, che cominciassimo noi a pesarle un po’ più.
Ma io, dimenticando che parlo con un giudice, mi son lasciato andare un momento a garrire con degli avversari. Scusi di grazia questa scappata, e mi scusi anche del rimettermi nella strada d’infastidirla ancora qualche tempo.
Alle altre proposizioni messe in campo dai Romantici contro le regole arbitrarie, non mi ricordo veramente, se qualche cosa si rispondesse, nè veggo che cosa si possa rispondere. Si diceva bene da molti, che il fine di quelle proposizioni era di sbandire ogni regola dalle cose letterarie, d’autorizzare, di promuovere tutte le stravaganze, di riporre il bello nel disordinato. Che vuol Ella? A questo mondo è sempre stata usanza d’intendere e di rispondere a questo modo.
Prima d’abbandonare il discorso delle regole, mi permetta che Le sottoponga un’osservazione che non mi sovviene d’aver trovata proposta da altri: ed è, che il soggetto d’una questione, che dura da tanto tempo, non è stato mai definito con precisione. La parola: «regole», intorno alla quale si aggira la disputa, non ha mai avuto un senso determinato. Un uomo, che sentisse per la prima volta parlare di questa discussione intorno alle regole, dovrebbe certamente supporre, che fossero determinate in formule precise, descritte in un bel codice conosciuto e riconosciuto da tutti quelli, che le ammettono; tante nè più nè meno, tali e non altrimenti: perchè la prima condizione per far ricevere altrui una legge, è di fargliela conoscere. Ora Ella sa, se la cosa sia così. E se uno di quelli che ricusano questo dominio indefinito delle regole, dicesse a uno di quelli, che lo propugnano: sono convinto; questa parola regole, ha un non so che, che mi soggioga l’intelletto: mi rendo; e per darvi una prova della mia docilità, vi fo una proposizione la più larga, che in nessuna disputa sia stata fatta mai. Pronunziate a una a una le formule di queste regole adottate, come dite, da tutti i savi; e ad ognuna io risponderò: amen; certo, costui, con tanta sommissione apparente, farebbe all’altro una brutta burla, lo metterebbe in uno strano impiccio.
Sono ben lontano dal credere d’avere espressa una idea compita della parte negativa del sistema romantico. Molte cose saranno sfuggite alla mia osservazione, quando la questione si dibatteva: molte dopo, dalla memoria; e dell’altre ne ho omesse apposta, o perchè non potevano così naturalmente venire sotto quei pochi capi, che ho presi qui per tema, o anche, se non ad effetto, almeno ad intento di brevità. Pure oso credere, che anche il poco, che ho qui affoltato di quel sistema, basti a farne sentire il nesso, e l’importanza, a farci scorgere una vasta e coe-