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sul loro soggetto, e trovandosi a certi punti, dove per non istorpiarlo era forza di violare le regole, essi le hanno violate, che n’è avvenuto? I secondi gli attendevano al varco; e senza esaminare, nè voler intendere il perchè di quelle che chiamavano violazioni, senza provare, nè saper nemmeno, che ad essi incombeva di provare, che l’attenersi alla regola sarebbe stato un mezzo per trattar meglio quel soggetto, gridarono ogni volta contro la licenza, contro l’arbitrio, contro l’ignoranza dello scrittore. Ora, poichè ciò che ha data sempre tanta forza ai pedanti contro gli scrittori d’ingegno, è per l’appunto questo rispetto implicito per le regole, perchè, dicevano i Romantici, lasceremo noi sussistere una tale confusione, un tal mezzo per tormentare gli uomini d’ingegno? Non sono stati sempre tormentati più del bisogno?
Dall’altra parte, proseguivano, non è egli vero che, passato un certo tempo, quella stessa violazione delle regole, ch’era stata un capo d’accusa per molti scrittori, divenne per la loro memoria un soggetto di lode? che ciò che s’era chiamata sregolatezza, ebbe poi nome d’originalità? E, come nella questione della mitologia, allegavano anche qui la lode che noi italiani diamo a più d’uno de’ nostri poeti prediletti, e quella che altre colte nazioni danno ad alcuni de’ loro, d’avere abbandonate le norme comuni; d’essersi resi superiori a quelle: d’avere scelta una, o un’altra strada non tracciata, non preveduta. nella quale la critica non aveva ancora posti i suoi termini, perchè non la conosceva, e il genio solo doveva scoprirla? Se per questi, dicevano, il trasgredir le regole è stato un mezzo di far meglio. perchè s’avrà sempre a ripetere che le regole sono la condizione essenziale per far bene?
Alla conseguenza che i Romantici cavavano da questo fatto, mi ricordo, che si dava generalmente una risposta non nova, ma molto singolare: cioè che molte cose sono lecite ai grandi scrittori, ma ad essi soli; e che in ciò la loro pratica non è un esempio per gli altri. Le confesso, che non ho mai potuto comprendere la forza dell’argomento, che pare essere incluso in questa sentenza. Cercando la ragione per cui quei grandi scrittori hanno ottenuto l’effetto con la violazione delle regole, m’è sempre parso che la cagione fosse questa: che essi, vedendo nel soggetto una forma sua propria che non sarebbe potuta entrare nella stampa delle regole, hanno gettata via la stampa, hanno svolta la forma naturale del soggetto, e così ne hanno cavato il più e il meglio, che esso poteva dare al loro ingegno. Il lecito, l’illecito, la dispensa non veggo cosa ci abbiano a fare; mi paiono metafore che, in questo caso, non hanno un senso al mondo. Ora quella ragione non è per nulla particolare ai grandi ingegni, è universalissima, viene dalla natura stessa della cosa, indica il mezzo, con cui, e grandi e piccoli, ognuno secondo la sua misura, può fare il meglio possibile.
— Oh! i mediocri non arriveranno mai a scoprire in un argomento quella forma splendida, originale, grandiosa, che appare ai grandi ingegni. - Sia, col nome del cielo; non ci arriveranno; ma di che aiuto saranno ad essi le regole? O le sono ragionevoli, e in questo caso i grandi scrittori non se ne devono dispensare, perchè sarebbe privarsi d’un aiuto a trovare e a esprimere più potentemente quella forma: o le sono irragionevoli, e se ne devono dispensare anche i mediocri, perchè esse non potranno fare altro che impicciarli di più, allontanarli di più dalla verità del concetto, e mettere la storpiatura, dove senza di esse non sarebbe stato, che minor perfezione. Onde, quanto più penso a questa doppia misura di regole, obbligatorie per molti, e per alcuni no, tanto più mi pare fuor di proposito. Ed è, se non m’inganno, stata trovata per uscire d’impiccio: quando ci si fa vedere una contradizione tra due pro-