Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
alcun effetto retroattivo; e l’appunto che le si fa di violare un diritto acquistato, non ha altro fondamento, che quel supposto diritto di proprietà.
Sull’applicazione della legge positiva:
Concorde con que’ principi, l’articolo I di essa, riservando agli autori o a’ loro aventi-causa di diritto di riprodurre le opere pubblicate, comprende naturalmente sotto questo titolo tutte queste opere, senza distinzione di tempo; e non si può, senza far violenza alla parola medesima, restringerlo alle sole opere che fossero per esser pubblicate dopo la legge.
Ciò stesso dispensava il legislatore dall’avvertire che intendeva parlare dell’opere pubblicate in passato: una tale precauzione sarebbe bensì stata necessaria, se avesse voluto restringere il divieto alle sole opere da pubblicarsi.
Il primo paragrafo dell’articolo XIV, eccettuando dal divieto le opere la di cui riproduzione abbia avuto cominciamento, riguarda naturalmente l’opere di cui un editore avesse ristampata, e non pubblicata una parte; l’intendere che quel cominciamento di riproduzione si riferisca a delle ristampe già compite e pubblicate, non ha anch’esso, altro fondamento, che l’intenzione attribuita al legislatore, e, nè espressa, nè accennata da lui, di voler tutelare un supposto diritto di proprietà.
Il secondo paragrafo dell’articolo suddetto non ha altro motivo, che di prevenire un’erronea interpretazione del primo; e anche qui, è la sola supposizione dell’intenzione suddetta, che può farci trovare la ricognizione d’un diritto, che, del resto, non sarebbe d’alcun uso.
La proprietà letteraria degli autori, e la proprietà letteraria del Pubblico, sono due concetti erronei, o piuttosto due applicazioni d’uno stesso concetto erroneo. Nel caso trattato qui c’è, tra la causa degli autori e la contraria, questa differenza: che la prima, rigettando quel concetto erroneo, conserva intatte tutte le sue ragioni; l’altra, rimosso quel concetto, rimane senza ragione veruna.
Non posso lasciar d’aggiungere che l’interpretazione dei suddetti articoli, quale è propugnata da’ miei difensori, si trova lucidamente e risolutamente espressa in due giudicati di tribunali di Firenze: giudicati, ai quali ella troverà cosa naturale ch’io dia maggior peso, che ai due di tribunali francesi, citati sopra.
Eccole dunque i motivi ripetuti e adottati da quella Corte d’Appello, sui punti discussi nel di Lei Parere, e in questa lettera:
«La Corte, ecc.
«Attesochè la sentenza appellata abbia dimostrato fino all’evidenza nei suoi motivi, quali la Corte adotta, che la detta Convenzione tutela e favorisce tanto gli autori di opere già pubblicate avanti, quanto gli autori di opere pubblicate dopo la sua emanazione;
«Attesochè, dando alla Convenzione questa intelligenza, non le si attribuisca un effetto retroattivo, perchè altro non sia fatto che vincolare dopo la sua promulgazione la libertà dei tipografi di riprodurre le opere altrui....
«Dice essere stato male appellato dallo stesso Lemonnier, e rispettivamente ben giudicato dalla sentenza del Tribunale di prima Istanza di Firenze del 3 agosto 1845 contraria al medesimo e favorevole al signor Alessandro Manzoni: quella perciò conferma in ogni sua parte, e ne ordina l’esecuzione secondo la sua forma e tenore.»
L’espressione: le opere altrui, della quale si serve la Corte, spiega perfettamente l’intento generale della legge; intento così conforme alla ragione e all’equità.