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Io non so se i giudicati che possano essere avvenuti, oltre i due francesi citati da Lei, e nel senso di questi, siano tali e tanti da meritare il nome di giurisprudenza universale; a ogni modo una tale giurisprudenza non era, di certo, entrata nella cognizione del Pubblico; e qui si tratta unicamente di ciò che il legislatore abbia dovuto creder necessario di specificare, per non esser franteso dal Pubblico. E, se fosse possibile, avrebbe avuto ancor meno bisogno d’avvertire che faceva una deroga al comune diritto. Il Pubblico, da cui doveva farsi intendere, non vedeva e non vede in questa materia altro diritto, se non quello che attribuisce agli autori, come nato dalla cosa stessa, scambiando per diritto un titolo di somma equità il quale, per diventare diritto positivo, ha bisogno d’una prescrizione legislativa, che, del resto, in via d’equità, gli è dovuta. Ma, in quanto a un altro diritto che potesse nascere in chi non è autore d’un’opera dall’esser questa passata nel dominio pubblico; il Pubblico non se ne fa carico; e, nella facoltà che ha ognuno di ristampare senza permesso l’opera altrui dove ciò non è proibito da una legge, non pensa se ci sia, o no, un diritto; ci vede solo un potere di farlo impunemente. Per altro, i legislatori del Belgio e di qualche Stato della Germania hanno fatto bene a proibire esplicitamente la ristampa dell’opere già pubblicate; e ciò, non per evitare uno sbaglio del Pubblico, ma per levare ogni appiglio a una falsa interpretazione; avvertiti probabilmente da quella ch’era prevalsa nelle sentenze summentovate, e della quale, credo d’aver mostrato qual fosse il fondamento.

Vengo ora all’articolo XIV, che tocca direttamente il nostro caso speciale:

«La presente Convenzione non farà ostacolo alla libera riproduzione nei rispettivi Stati di opere che fossero già pubblicate in alcuni di essi prima che la detta Convenzione fosse posta in vigore, purchè la riproduzione abbia avuto cominciamento e sia stata legalmente autorizzata avanti di quel tempo.

Qualora però si fosse pubblicata parte di un’opera prima che la presente Convenzione fosse posta in vigore, e parte dopo, la riproduzione di questa ultima parte non sarà permessa che col consenso dell’autore o de’ suoi aventi-causa, purchè si dichiarino pronti a vendere agli associati la continuazione dell’opera, senza obbligarli all’acquisto dei volumi dei quali fossero già possessori.»

Il bisogno d’esporle le mie ragioni m’obbliga a rimetterle davanti l’interpretazione di quest’articolo, già propugnata da’ miei difensori, e che fu repudiata vivamente da Lei. Eccole dunque quale sia, secondo loro e secondo me, il motivo e la prescrizione dell’articolo suddetto.

Il divieto in genere e senza eccezione portato dal primo paragrafo, di riprodurre senza il permesso degli autori, le opere già pubblicate poteva, venendo applicato a tutti i casi, ledere degl’interessi legittimi, o almeno legali. Un editore che, quando non c’era alcuna legge in contrario, avesse stampata una parte d’un’opera già pubblicata dall’autore; non potendo, in forza della nova legge, terminarne la stampa, sarebbe stato condannato a perder le spese già fatte; e la legge avrebbe avuto, questa volta davvero, un effetto, indirettamente, ma efficacemente retroattivo. A ciò provvede quel primo paragrafo, dichiarando che «la legge non farà ostacolo alla libera riproduzione di tali opere, purchè abbia avuto cominciamento.»

A quest’interpretazione Ella fa due obiezioni: la prima, che, intesa a questo modo, la prescrizione sarebbe senza motivo; la seconda, che cagionerebbe una quantità d’incertezze e di pericoli.

Ella fa precedere a queste obiezioni la spiegazione che a Lei pare la