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cavare un certo lume, dirò così, sussidiario per l’interpretazione di essa. Tratterò anch’io questi due capi, ma riservando, come si deve, la ragione di vero e definitivo criterio al secondo.
1.
Principiando dunque dalle considerazioni generali, tutte le ragioni addotte da Lei tendono a dimostrare che una legge su questa materia non può, nè deve ragionevolmente occuparsi, se non dell’opere che gli autori siano per pubblicare dopo la sua comparsa.
Ora, mi pare che una legge tale verrebbe, a un di presso a parlare (mi passi quest’altra prosopopea) in questa forma:
Ho finalmente capito che è giusto d’impedire le ristampe fatte senza il consenso degli autori, dette comunemente contraffazioni, e che apportano a quelli un doppio danno. E però chiunque pubblicherà qualche opera d’ora in poi, goderà questo benefizio. Ma voi altri che avete già sofferto un tal danno per la contraffazione di qualche opera, dovrete, riguardo a questa, continuare a soffrirlo. Non solo quello che è fatto è fatto, ma deve potersi fare in avvenire. E abbiate pazienza.
Confesso che non avrei saputo pensare una ragione per cui s’avesse a trovar giusta una legge di questa sorte. Ma una ragione m’è stata opposta, e mi s’oppone anche da Lei; e è, che una legge la quale sancisse il contrario, cioè estendesse il divieto anche all’opere ristampate prima di essa, produrrebbe un effetto retroattivo.
Sarebbe un difetto grave assai, o piuttosto un vizio essenziale; ma non vedo dove si possa trovarlo in questo caso. Per legge retroattiva s’intende una legge, che, guardando indietro, come dice il Macchiavelli, colpisca de’ fatti consumati nel tempo ch’essa non era ancora venuta a proibirli. Ma la legge in questione non farebbe altro che proibire de’ fatti possibili nell’avvenire, cioè delle nove ristampe; e tra il colpire de’ fatti consumati, e il proibire de’ fatti possibili, c’è, non una semplice differenza, ma un’assoluta diversità. Opporre la retroattiva a una legge tale, mi par che sia come il dire che una legge la quale proibisse a tutti senza distinzione, nè eccezione, di portar armi nell’avvenire, peccasse d’effetto retroattivo riguardo a quelli che ne avessero portate nel passato. Una legge che, dopo aver proibite le nove ristampe, aggiungesse: — Quelli poi, che per il passato hanno profittato del silenzio delle leggi, per ristampare dell’opere senza il permesso degli autori, e con danno di questi, dovranno rifar loro un tal danno, in quella proporzione che, nei rispettivi casi, sarà giudicata da’ tribunali; — questa sì, che produrrebbe un effetto retroattivo; e però nessuno ha mai pensato a farla, e nessuno penserebbe a chiederla. Ma in quella di cui si tratta, non saprei, ripeto, con qual ragione si potesse trovare un tale effetto.
Però anche qui se n’adduce una, già stata confutata due volte davanti ai Tribunali di Firenze, e rigettata da questi, e che ho il dispiacere di dover impugnare, anche a fronte di Lei: e questa ragione è, che una tal legge violerebbe un diritto acquistato. E se la cosa fosse così, non c’è dubbio che la legge verrebbe a peccare di retroattività. Ma è poi così?
Per sostenere una tal tesi, Ella adduce una teoria e di più due giudicati d’altri Tribunali. Uno di questi giudicati allega in termini espressi il principio su cui è fondata la teoria; e mi dà così una prima occasione d’entrar nell’esame di essa. Lo riferisco con le di Lei parole.
«Il Tribunale di Commercio della stessa città» Parigi «dichiarava il «21 ottobre 1830, che, la canzone famosa conosciuta sotto lo storico nome