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società un contratto sui generis.» Accetto la tesi, e dico che, se un autore potesse (mi passi l’ipotesi) venir con la società a un vero e formale contratto, gli parlerebbe a un di presso in questa forma:
Io ho qui un mio scritto che posso buttar nel foco o dare alle stampe; e, dico la verità, proferirei il secondo partito. Ma, o il libro sia per piacervi, o no, la mi può andar male ugualmente. Se il libro non vi piace, lo lasciate dormire nelle vetrine; e in quanto a questo, pazienza! non avrò ragione di prendermela con nessuno. Ma se il libro vi piacesse, potrà venire un altro, o più d’uno che, trovando il suo conto a farne un’edizione lui, metta a dormire la mia in un’altra maniera. Per liberarmi da questo non meritato pericolo, vi propongo un patto: che voi società, cioè voi tutti che la componete, v’impegniate a non ristampare il mio libro. Voi non ci mettete punto di vostro, perchè, a pagarlo un po’ meno di quello che dovrei farvelo pagar io, non avete nemmeno l’ombra d’un diritto; e io posso, senza lederne alcuno, fare che non abbiate il libro in nessuna maniera. Non vi chiedo altro, che di liberar me da un risico, senza correrne alcuno voi altri. Ci state?
È una cosa evidente, che la società non potrebbe, senza stravaganza, rifiutare un contratto così equo riguardo a uno de’ suoi membri, e che agli altri potrà portare o qualche utilità o certamente nessun danno. E non si potendo con la società fare un contratto di sorte veruna, la legge, uno degli ufizi importanti della quale è per l’appunto di stipulare per la società, fa una cosa e sensatissima e giustissima realizzando gli effetti di un tal contratto coi mezzi propri a lei, cioè con un divieto e con una sanzione.
Non crederei di farla ridere, aggiungendo che, oltre il danno che può venire a un autore della contraffazione gliene può venire anche un dispiacere, che la legge, se può, deve risparmiargli. Non già che leggi devano prevedere e impedire tutti i dispiaceri non meritati, grossi e piccoli, come cercano di fare per i danni; ma una legge che non abbia uno scopo iniquo, fa questa cosa naturalmente, senza alcuna clausola diretta, e per mezzo dell’altre sue disposizioni; e in questo senso mi par che si deva interpretarne ognuna, quando non ci sia nulla di manifesto in contrario. Poco prima, o poco dopo aver pubblicato il Gènie du Christianisme, il celebre suo autore ricercò e raccolse, con gran cura e con dispendio, gli esemplari d’un’opera irreligiosa pubblicata da lui, qualche anno prima, in Inghilterra: e distrusse tutti quelli che potè ripescare. Mettiamo che quest’opera fosse stata pubblicata dall’autore in Francia, e prima del 93; non mi par davvero che sarebbe stata equa una legge, o l’interpretazione d’una legge, per cui qualunque stampatore avesse potuto riprodurre quell’opera odiosa sul viso, dirò così, dell’autore, e fargliela vedere annunziata sulle cantonate, esposta nelle vetrine de’ librai, registrata ne’ cataloghi; e, a un bisogno, fargliela anche vedere nelle mani de’ suoi conoscenti. Per questo riguardo, si sarebbe trovato in peggior condizione, che se gli fosse stata ristampata un’opera pubblicata di fresco.
Facendo ora un salto a precipizio da Châteaubriand e dal Gènie du Christianisme a me e a un romanzo, Le dirò che un dispiacere dello stesso genere, ha fatto provare a me l’incessante riproduzione del romanzo medesimo. Riuscendomi (dopo il fatto, come avviene in altri casi non pochi) odiosa, in tutt’altro grado, s’intende, la dettatura di esso; e vedendo che c’erano ancora persone disposte a leggerlo; avevo procurato, con un’edizione corretta, di levar la prima dalle mani di questi lettori; e il vederla riprodotta, con la realtà degli effetti che ho supposti nel caso del celebre autore citato, avrebbe potuto essere un motivo bastante per determinarmi a usar tutti i mezzi che mi fossero concessi, per far cessare questo che per me era e è un vero dispetto.