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558 osservazioni sulla morale cattolica

vere nell’applicazione, quanto il principio medesimo; e dicono che non ci sono princìpi senza eccezione. Ma una così strana sentenza non ha altro fondamento, o piuttosto non ha altra origine, che il ricavare il concetto della cosa dall’abuso di essa. Può accadere (e se accade!) che uno o alcuni o molti diano il nome e la forma apparente di principio a una massima più generale, più comprensiva di quello che la verità richieda e permetta. E che tali massime patiscano dell’eccezioni non c’è dubbio. Ma su cosa cadono quest’eccezioni? Su un principio? Neppur per idea: cadono su una massima predicata arbitrariamente, e a torto; come un principio. E farebbe, di certo, un’opera molto utile chi prendesse a esaminare di proposito quella sentenza, se a metterne in chiaro partitamente e alla distesa l’erroneità. Ma per dimostrarne la fallacia radicale (e il nostro argomento non richiede di più) possono bastare poche parole. Si domanda dunque, se l’eccezioni che, secondo alcuni, patisce in pratica ogni principio, cadano su tutte le sue conseguenze, o sopra una parte solamente. Non potranno dire che sopra tutte; giacchè allora sarebbe negazione d’ogni principio, non sarebbero eccezioni a ogni principio. Se dunque non cadono che sopra una parte, ne viene di necessaria conseguenza, che, fatte tutte l’eccezioni, rimanga qualcosa che non patisce eccezione. E questo è appunto il principio, assoluto di sua natura, nella sua sfera legittima. Ammettere e adoprare il vocabolo, e negar questo attributo al concetto, è quanto dire che c’è verità nel predicare d’una totalità di cose ciò che non sia vero se non d’una parte di esse.

Il preservativo naturale contro questo errore, che renderebbe impossibile il ragionamento, e che, non potendo far tanto, riesce però a perturbarlo, e non di rado con incalcolabili conseguenze, sarebbe d’osservare, prima di proporre o d’accettare una massima, se abbia veramente quella ragione così generale che è espressa ne’ suoi termini. Ma ciò che impedisce di far uso, come si dovrebbe e si potrebbe, di questo preservativo, è che torna comodo alle volte di proporre o d’accettare come principio una sentenza dalla quale si possano cavare delle conseguenze che premono: sia poi, o non sia, ne’ limiti del vero, non importa. Quando poi vengono avanti degli altri che, avendo presa la sentenza più sul serio, richiedono che se ne cavino dell’altre conseguenze che non piacciano ai primi, come si fa? Rinnegare il principio, non conviene, perchè se n’ha bisogno per mantenere quelle tante, per amore delle quali s’era proposto o accettato. Si dice dunque: — Il principio è sacrosanto: non crediate che vogliamo ritrattarlo. Ma badate che ogni principio patisce le sue eccezioni: non ci sono principi assoluti. Voi volete andar troppo avanti con la logica; e la logica conduce all’assurdo. —

Senza dubbio, quando si prendono le mosse dall’assurdo. È il vizio naturale della logica, di condurre avanti l’uomo nella strada che ha preso lui.

E dove si troverà poi una regola per riconoscere fin dove le conseguenze d’un principio siano altrettante verità, e da quel punto in là diventino assurdi? È il bon senso dicono, che la fa trovare ne’ diversi casi. Ma se il bon senso è in lite con la logica, di quale istrumento si potrà servire, per ragionarle contro? che obbligo può avere il bon senso di prestare il suo aiuto, in un’occorrenza di questa sorte? È forse lui che ha suggerito di proporre o d’accettare una proposizione battezzata col nome di principio, prima d’esaminare quali siano le sue conseguenze logiche? Abiurare la logica (giacchè mutilarla è abiurarla), per servire al comodo o alla precipitazione d’alcuni, è un sacrifizio che il bon senso non può assolutamente fare.

Ora, per tornare al punto speciale in questione, essendo impossibile il