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556 | osservazioni sulla morale cattolica |
e n’è la prova, che anche in lingue, dove pure c’è, e ce n’è più d’uno, si continua, in moltissimi casi, a esprimere il concetto, senza ricorrere a questi. Così è comune a diverse e probabilmente a molte di queste lingue, il dire che una cosa non si può fare, per significare che non è lecita. E, certo, non si vuol dire che non si possa assolutamente, in nessuna maniera; anzi si dice in opposizione al potere che l’uomo ha di farla in effetto: si vuol dire che non si può farla, e operar rettamente. Così, di chi abbia a scegliere tra due o più partiti diversi o anche opposti, ma nessuno de’ quali sia opposto alla giustizia, si dice che è libero di prendere quello che più gli piace. E si vuol forse dire che l’uomo sia libero solamente in que’ casi? Tutt’altro: si vuol dire che, in que’ casi, non è legato dalla giustizia a non poter prendere rettamente che un partito solo. Così si dice che la giustizia vuole, esige , richiede, prescrive, comanda, permette o non permette, esimili: tutte locuzioni che equivalgono al dire: c’è obbligazione di fare, o di non fare.
Questa è la ragione semplicissima, per cui il concetto d’obbligazione morale è pensato, significato, inteso pertutto dove s’intende che ci sono delle cose giuste e delle cose ingiuste; cioè pertutto dove ci son uomini. È un concetto che deriva da quello di giustizia; e non già, come in altri casi, da lontano, e per una lunga serie di concetti intermedi, dimanierachè potesse rimaner latente per un tempo indefinito, e finchè venisse un qualche gran pensatore che, di deduzione in deduzione, arrivasse a cavarnelo; ma ne deriva immediatamente e, dirò così, ne scappa fuori da sè. Qual uomo ha potuto dire: non sono cose giuste, o sentir queste parole intendendole, senza trovarci dentro subito, che si deve non farle?
Ma anche qui il Bentham non tarda a contradirsi, e nella stessa maniera che abbiamo osservata l’altra volta; cioè rinnegando implicitamente, per la forza del bon senso e del senso morale, ciò che aveva affermato per esser fedele al sistema. Poche righe dopo il passo che s’è esaminato ora, dice: «Far risaltare la connessione tra l’interesse e il dovere, in tutte l’occorrenze della vita privata degli uomini, è il nostro assunto. Quanto più addentro s’esaminerà il soggetto, tanto più manifesta apparirà la concordia tra l’interesse e il dovere.»
Ecco dunque quell’obbligazione (giacchè per dovere non si può qui intendere che la stessa cosa; e anche il Bentham fa vedere d’intenderla così, poichè usa promiscuamente i due vocaboli1, quel termine involto in una nuvola di nebbiosa oscurità, eccolo, tutt’a un tratto, diventato chiaro quanto mai si possa desiderare; giacchè, per poter riconoscere una connessione, una concordia manifesta tra due concetti, bisogna di necessità che siano chiari tutt’e due. Con un concetto tutto nuvole e nebbia non ci può essere nè concordia, nè contrasto, nè nulla. Ma lasciamo pure da una parte l’obbligazione, atteniamoci alla parola dovere; e vediamo che strane contradizioni, riguardo al sistema, escano dall’averlo ammesso, come fa il Bentham in quella proposizione, qualunque sia poi il posto che gli ha dato.
Quella proposizione implica necessariamente che il concetto del dovere
- ↑ Subito dopo gli argomenti contro l’idea d’obbligazione che abbiamo esaminati, aggiunge: «È infatti una cosa affatto inutile il parlar di doveri; il vocabolo stesso ha in sè qualcosa di disaggradevole e di repulsivo: e per quanto ci si parli sopra, non diventerà mai regola di condotta.» È evidente che qui dovere sottentra come sinonimo a obbligazione.
Questo vocabolo «dovere» si trova anche nel titolo dell’opera che citiamo: Deontologia, ovvero Scienza della morale: in cui è dimostrata e esemplificata l’armonia del dovere con l’interesse proprio, ecc.