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552 | osservazioni sulla morale cattolica |
nondimeno fitta come prima; e non potrà esser dissipata, che col farci entrare la luce dell’utilità, co’ suoi dolori e co’ suoi piaceri, e con le sanzioni e i motivi che ne derivano1.»
In verità, ci volle anche qui tutta la prepotenza d’un sistema, per far cadere così un uomo tutt’altro che volgare in quell’errore volgarissimo, di fermar l’attenzione sopra alcuni fatti che escono dell’ordinario, e perciò danno più nell’occhio, senza farsi caso d’altri fatti innumerabili, che costituiscono appunto l’ordinario, e de quali si deve intendere, quando si dice collettivamente: il fatto. Guardò fisso alle ricerche e alle dispute d’alcuni dotti intorno all’obbligazione, agl’intieri volumi scritti su quella materia; non badò ai milioni e milioni di consensi che hanno luogo ogni giorno nell’applicazione di quella parola, cioè del concetto che esprime; ai milioni e milioni di casi, ne’ quali dicendo uno: c’è obbligazione di fare o di non fare una tal cosa, gli altri ripetono: c’è obbligazione; non già perchè l’ha detto quello, ma perchè l’avrebbero detto loro ugualmente. Non badò ai casi, anche più frequenti, ne’ quali quel concetto è sottinteso da chi sente, come da chi parla. Che su quell’applicazione medesima nascono anche dei dubbi e de dispareri, chi lo potrebbe o lo vorrebbe negare? Ma quest’incertezza di qualche volta, quest’oscurità parziale e occasionale nell’applicazione del concetto ai fatti, o al da farsi, è forse una condizione speciale del concetto d’obbligazione? No davvero: è la condizione dell’uomo nell’applicazione di qualunque concetto. Non si saprebbe da dove prenderne a preferenza le prove, appunto perchè ce n’è pertutto; se non che ce ne somministrano una affatto a proposito i concetti del dolore e del piacere, messi in campo dal Bentham. Certo, sono concetti chiari quanto si possa dire, e per tutti gli uomini ugualmente. Ma cos’accade poi nell’applicazione? Lo stesso per l’appunto, che in quella del concetto d’obbligazione; cioè che c’è un numero grandissimo d’effetti che gli uomini chiamano concordemente o piacevoli o dolorosi; ce ne sono alcuni, dove altri trovano piaceri, altri dolore. Dolore e piacere è ciò che ognuno sente come tale; ma non sempre ognuno sente o dolore o piacere per le stesse cagioni. E del pari, obbligazione è ciò che ognuno intende come tale, quantunque non in tutti i casi ognuno intenda ugualmente che c’è obbligazione. E questi dispareri attestano, non meno de’ consensi, che l’idea è intesa da tutti. Infatti, come mai si potrebbe discordare sul quando uno sia o non sia moralmente obbligato, se non s’avesse in comune l’idea d’obbligazione morale? Cosa non sa trovare la malafede, per scapolare da un’obbligazione incomoda? Interpretazioni stiracchiate, falsi titoli d’eccezione, vane ragioni d’equità, impossibilità immaginarie, pretese obbligazioni opposte e prevalenti, e che so io? Ma non credo che a nessuno de’ più sottili maestri di quell’arte sia mai venuto in mente di dire: — Voi mi parlate d’obbligazione: cosa vuol dire obbligazione? Si tratta di moralità; e se c’è una materia nella quale importi aprir gli occhi, è questa sopra tutte. Come volete che un galantuomo par mio si regoli, in una tale materia, sull’autorità d’un termine involto in una nuvola di nebbiosa oscurità? Esaminiamo il caso alla luce dell’utilità; e quando m’avrete fatto vedere, non con l’autorità d’assiomi dottorali, ma con argomenti speciali e concludenti per questo caso, che il far io ciò che chiedete sarà confacente prima di tutto all’utile generale, o del maggior numero possibile, come vi piace, e poi anche al mio, com’è giusto, sarò prontissimo a compiacervi. — Al contrario, con quell’altre gretole che vanno cercando, confessano e attestano, se ce ne
- ↑ Deontology, etc. Deontologia, ovvero della Scienza Morale, ecc. Parte 1, Cap. I.