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550 | osservazioni sulla morale cattolica |
che era, è e sarà, cioè una verità secondaria, condizionata, e nota, del resto, quanto si possa dire.
Infatti, chi dubita che il procurare l’utilità di quanti più uomini si possa; non sia un intento e un fatto conforme alla moralità? È una di quelle verità che non s’enunciano forse mai, appunto perchè si sottintendono sempre. Ma si sottintende anche sempre, che questa utilità si procuri senza fare ingiustizia a nessun altro. Si suppone adempita la condizione suprema della moralità; s’intende di lodare la beneficenza, non di verificare la moralità necessaria; s’intende che è una cosa morale, non che sia la morale. E con quella condizione, è messo interamente in salvo il riguardo dovuto a tutti gli uomini. Vuol forse dire che ogni uomo, per esser morale, deva esercitare la giustizia verso tutti gli uomini? Oh appunto! Una cosa simile non potrebbe mai entrare ne’ pensieri d’un uomo, non che nel pensar comune degli uomini. Vuol dire che ogni uomo deve esercitare la giustizia verso di quelli, coi quali si trovi in relazioni tali, da dovere per necessità essere verso di loro, o giusto o ingiusto, sia con azioni, sia con omissioni. E con questo, il riguardo dovuto a tutti è mantenuto interamente, come dicevamo; perchè, essendo la giustizia una e assoluta (e non si potrebbe nemmeno pensare priva di questi attributi), non può in nessun caso trovarsi in opposizione con sè stessa; e implica contradizione, che, col dare a uno quanto è dovuto a lui, si possa sottrarre nè punto nè poco di ciò che sia, o sia mai per esser dovuto a degli altri: mentre l’utilità, essendo relativa, non repugna punto alla sua essenza, che ciò che è utile a uno torni in danno d’un altro, anzi di lui medesimo, in un altro momento. In un’azione utile, c’è dell’utilità; in un’azione giusta, c’è la giustizia; direttamente e positivamente, riguardo a quelli che ci hanno un diritto; indirettamente e negativamente, riguardo a tutti gli altri, che non ce n’hanno veruno.
E perciò, quando si vuol lodare l’intento di procurare l’utilità d’altri uomini, non si dice, e non s’ha bisogno di dire, come fa il sistema, l’utilità del maggior numero possibile. Per il senso comune, quanti più sono gli uomini a cui uno vuol procurare utilità, tanto più il suo intento è lodevole; ma è lodevole, o molti o pochi che siano, e foss’anche uno solo. E non ci vorrebbe che un pazzo, per dire: prima di lodar quell’intento bisogna vedere se contempli la metà degli uomini, più uno almeno. Ma questa osservazione medesima sarebbe rigorosamente a proposito, chi la facesse a un partigiano del sistema così modificato, perchè, secondo questo, da quella maggioranza numerica dipende, non già che l’intento sia più o meno bello, e l’azione più o meno utile; ma che sia o non sia morale. Risponderebbe forse, che questo è un rigore pedantesco, e che, dicendo il maggior numero, s’intende naturalmente a un di presso? Sarebbe un dir di novo, che la morale è una scienza di mera probabilità, cioè che non è una scienza, come s’è visto. E s’è visto anche, sia detto a onore de’ seguaci del sistema, quanto sia facile il far loro disdire e detestare una tal proposizione. Non potrebbe, mi pare, rispondere se non che è un chiedere l’impossibile: ed è appunto la seconda cosa che abbiamo accennata; cioè che, con questa trasformazione, il sistema è rimasto inapplicabile nè più nè meno. Il riconoscere l’interesse del maggior numero degli uomini non è punto più possibile che il riconoscere quello di tutti: anzi è la stessa cosa, con un’operazione di più; giacchè, per riconoscere la maggior parte, è necessario separarla dal tutto, il che non si può fare senza averlo riconosciuto. Ma non c’è nemmeno bisogno di quest’argomento. L’impossibilità primitiva e intrinseca d’applicare il sistema, in questa come in quella, come in ogn’altra escogitabile forma,