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548 | osservazioni sulla morale cattolica |
tradizione nel ragionare come se si trovassero in essa. È riconoscere che l’effetto più importante dell’azioni umane, riguardo ai loro autori, non ha luogo nel mondo presente; e quindi che è contradittorio un sistema, il quale, pretendendo fondarsi sul solo calcolo degli effetti, prescinde appunto dal più importante, anzi da quello che è importante in una maniera unica, poichè viene dopo tutti gli altri, e per non cessar mai. È dunque un’illusione il credere che un tal sistema possa conciliarsi con una tale credenza; e, volendo stare attaccato a quello, bisogna anche affermare che la vita futura non è altro che una falsa opinione. So bene, anche qui, che una tal conseguenza sarà rigettata con indegnazione dalla più parte de’ seguaci del sistema, Ma non si può altro che dire anche qui: o rinunziare al sistema, o rinunziare all’indegnazione.
L’idea però della moralità, quale l’ha rivelata il Vangelo, è tale che nessun sistema di morale venuto dopo (meno forse quelli che negano apertamente la moralità stessa) non ha potuto lasciar di prenderne qualcosa: Osserviamo brevemente un tal effetto in questa sistema medesimo che si separa dalla morale del Vangelo in due punti così essenziali, come sono il principio e la sanzione.
I diversi sistemi morali de’ filosofi del gentilesimo non proponevano, almeno direttamente, a chi li volesse adottare e seguire, altra felicità che la sua propria. La virtù degli stoici era in fondo egoista come la quiete degli epicurei, e la voluttà de’ cirenaici. Il sistema di cui trattiamo, formato o riformato, come s’è detto, nella luce del cristianesimo, al suono di quelle divine parole: «Amerai il tuo prossimo come te stesso1,» e: «Fate agli altri ciò che volete che facciano a voi2,» fu avvertito e come forzato a estendere a tutti gli uomini il vantaggio che quelli restringevano ai discepoli, e a proporre all’individuo il bene altrui come condizione del proprio. Questo miglioramento parziale, se si può chiamar così, lungi dal dar consistenza al sistema, non può altro che farne risaltar più vivamente la contradizione intrinseca e incurabile.
Infatti, perchè mai i suoi autori, dopo aver posto che futilità era il principio, la cagione sufficiente e unica della moralità (e senza di ciò, il sistema non sarebbe più, nemmeno in apparenza), non dissero poi, che ogni utilità, senza cercar di chi sia, è morale di sua natura, come doveva venir di conseguenza? È egli mai venuto in mente a nessuno di quelli che vedono la moralità nella giustizia, di dire che la giustizia, è o morale, o no, secondo a chi vien fatta? Perchè mai, dico, quegli autori distinsero, non due gradi, ma due generi d’utilità, una che non è punto morale da sè, cioè l’utilità dell’operante, e una che è necessaria per render morale la prima, cioè l’utilità generale? Dove trovavano nel loro principio la ragione, il pretesto, il permesso d’una tal distinzione? Non ci potevano trovar che il contrario; e questa distinzione la fecero perchè credevano anch’essi una cosa che, fuori del cristianesimo, potè esser messa in dubbio e anche negata, e da ingegni tutt’altro che volgari, ma che, dove regna il cristianesimo, non è, direi quasi, possibile di non credere; cioè che dall’uomo qualcosa è dovuta agli altri uomini. E sta bene; ma era un confessare tacitamente, e senza avvedersene, che l’utilità, per esser morale, deve prender la moralità d’altronde, e da qualcosa d’anteriore e di superiore ad essa; e che, per conseguenza, non può essa medesima essere il principio, la causa, il criterio della moralità.
Non vogliamo qui certamente rifarci a domandare come mai un uomo possa conoscere (cioè provvedere) futilità generale, e la relazione di essa