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appendice al capitolo terzo 547

che unifica, in certa maniera, in una contentezza medesima1, i più diversi e opposti momenti, facendo vedere in tutti ugualmente un passo verso il Bene infinito; «speranza che non può illudere, perchè congiunta con la carità infinita diffusa ne’ cori2; la quale, quel Bene medesimo che promette nell’avvenire, lo fa sentir nel presente, in una misura limitata bensì; e come per saggio, ma con un effetto che nessun sentimento avente un termine finito può contraffare3. Così la giustizia misericordiosa di Dio predomina anche neL tempo, dove non si compisce perchè, se è decreto di sapienza e di bontà, che la giustizia dell’uomo, non pura nè perfetta in questa vita, soffra per mondarsi, e combatta per crescere, repugna che sia veramente infelice: repugna che l’aderirà della volontà al Bene infinito comunicantesi all’anima, non partorisca un gaudio prevalente al dolore cagionato dalla privazione di qualunque altro bene4. Cosa mirabile! dice il Montesquieu, la religione cristiana, la quale pare che non abbia altro oggetto, se non la felicità dell’altra vita, ci rende felici anche in questa5. Riflessione ingegnosa, senza dubbio; ma una riflessione più prolungata fa dire: Cosa naturale.

Ci si opporrà qui probabilmente, che il sistema non ha mai messa in campo la pretensione di procurare agli uomini una felicità perfetta e immune dai mali prodotti dalle necessità fisiche; che il suo assunto, molto più modesto, non è altro che di dirigere le loro determinazioni al fine di conseguire la massima utilità, in quanto possa dipender da loro; che, del rimanente considerato in sè, cioè lasciando da una parte l’opinioni particolari che l’uno o l’altro de’ suoi partigiani gli possa attaccare, non nega punto la possibilità d’una vita futura, nella quale l’opere fatte in questa ricevono un’altra retribuzione; e tanto non lo nega, che non entra neppure in questa materia; che, per conseguenza, chi crede di dover ammettere, sia come opinione umana, sia come domma religioso, questa vita futura, il sistema glielo permette ampiamente.

Strana parola in un sistema filosofico, permettere! Dico, permettere ciò che è inconciliabile con esso. Ma è uno degli esempi tanto comuni di quell’incertezza, di quella diffidenza di sè, di quello scetticismo in somma, che, in tutte le dottrine morali che non tengon conto della rivelazione, si nasconde sotto il linguaggio più affermativo, e l’apparato piu solenne della dimostrazione. La ragione, che non conosce tali condiscendenze, non permette che s’ammetta una vita futura, se no a patto di rifiutare il sistema: Infatti, ammettere una vita futura, nella quale l’azioni della vita presente siano e premiate e punite, è ammettere una legge morale, secondo la quale, e in virtù della quale, abbia luogo una tale retribuzione; e ammessa una tal legge, tutto il sistema va a terra nel momento. Non è più un calcolo congetturale d’utili e di danni possibili nella vita presente, che s’abbia a prendere per criterio della morale: è quella legge. Ammettere la vita futura è riconoscere che l’utilità e il danno definitivo, da cui il sistema vuole che si ricavi la norma dell’operare, sono fuori della vita presente; e quindi, che c’è con-

  1. Expectatio iustorum lætitia. Prov. X, 28. . Spe gaudentes. Rom. XII, 12.
  2. Spes autem non confundit; QUIA charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum, qui datus est vobis. Ibid. V, 5.
  3. Pax Dei, quæ exsuperat omnem sensum. Philip. 1V, 7
  4. Sicut abundant passiones Christi in vobis, ita et per Christuin abundat consolatio nostra. II Corinth. I, 5. Quasi tristes, semper autem gaudentes. Ibid. VI, 10.
  5. Esprit des lois. Liv. XXIV, Chap. 3.