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542 osservazioni sulla morale cattolica


Dico forse troppo? Vediamo; perchè non c’è dubbio che potrebbe benissimo esimersi dal proferire una così strana sentenza, dicendo in vece: . Non precipitiamo il nostro giudizio. Il sistema prescrive di dedurlo dagli effetti; e possiamo noi dire di conoscere gli effetti di quell’impresa? Ne conosciamo alcuni, i più immediati; ma alcuni effetti è forse lo stesso che gli effetti? Sappiamo noi quante sorte di consolazioni e di compensi potrà trovare quell’uomo? Non potrebbe dalla disgrazia medesima essere stimolato a tentar dell’altre imprese, e da successi più fortunati, dall’attività medesima impiegata a rifare il suo capitale, ricavar più soddisfazione, che non n’avrebbe avuta dal goderlo e dall’accrescerlo? Il piacere che può dar la ricchezza è forse necessariamente proporzionato alla quantità di essa? E in quanto a quelli che sono morti nella catastrofe, già è ciò che o presto o tardi, gli doveva accadere; e chi può decidere se sia stato peggio o meglio per loro il morir quella volta piuttosto che un’altra, forse dopo malattie dolorosissime, forse in una qualche maniera più atroce? Riguardo poi a un interesse più generale, chi sa se l’esempio dato da quell’uomo, l’aver visto, anche per poco, tante campagne floride dove prima non c’era che una sodaglia, non possa eccitare un’emulazione, la quale porti un aumento di produzione e di prosperità, da compensare, da sorpassar di molto il capitale ingoiato dal terremoto? . Non c’è dubbio, ripeto, che, con questi e con altri argomenti dello stesso genere, potrebbe, sospendere il suo giudizio; ma a condizione di tenerlo sospeso per sempre. Potrebbe schivar lo sproposito; ma a condizione di riconoscere che il criterio proposto dal sistema è inapplicabile. Conclusione alla quale s’arriva senza fatica, e quasi senza avvedersene, da qualunque parte si prenda a esaminarlo.

Dicendo però che Aristide, in quella sua famosa sentenza, intese manifestamente d’opporre il giusto all’utile, come cose che possano essere qualche volta inconciliabili, abbiamo forse voluto anche dire che avesse ragione d’intenderla così? Tutt’altro. Crediamo anzi col Bentham, ma per una ragione affatto diversa dalla sua, e della quale faremo un cenno tra poco, che una tale opinione non possa venire, se non da nozioni confuse e dell’utile e del giusto. Dove Aristide, se il fatto è vero, l’intendeva bene, o dove, per andar più al sicuro, l’intese bene quella volta1, fu nel riven- .

    mantenersi coerente alla massima, giudichi diversamente le due azioni, chiamando immorale la prima, e l’altra no. Applicata poi a’ sentimenti, quella massima fa necessariamente la stessa riuscita, ma con qualcosa di specialmente strano, in quanto, potendo i sentimenti non produrre alcun effetto, la morale, in questo caso, non avrebbe nulla a dire intorno ad essi. Un uomo, in punto di morte, desidera in cor suo, con un odio disperato, la rovina d’un innocente; un altro, nello stesso stato, con una benevolenza pietosa, ne desidera la salvezza: dov’è, dirò ancora, il partigiano di quella dottrina, il quale dica, pensi, sogni, che que’ due sentimenti, perchè privi d’effetto, non possano esser chiamati né morali nè immorali?

  1. Se crediamo a un celebre moralista antico, citato da Plutarco, e a Plutarco medesimo, Aristide avrebbe professata e messa in pratica anche la massima opposta a quella che è sottintesa nel giudizio che diede del progetto di Temistocle. Ecco il passo di Plutarco nella vita d’Aristide, secondo la traduzione del Pompei. «Aristide fece poi giurar gli altri Greci intorno alle convenzioni dell’alleanza, ed egli stesso giurò a nome degli Ateniesi, e fatte le imprecazioni contro chi violasse quel giuramento, gittò roventi masse di ferro nel mare. Ma in progresso di tempo, costretti venendo gli Ateniesi dalla qualita degli affari» quale abuso di parole! gli affari che costringono la volontà «ad usar un alquanto più autorevol dominio, esortò gli Ateniesi stessi a rivolgere tutto lo spergiuro sopra di lui medesimo, dove tornasse meglio governar le faccende in diversa maniera di quella che avevan giurata. Teofrasto però, generalmente parlando di quest’uomo, dice che, quantunque egli in tutte le cose domestiche, e ne’ particolari negozi dé cittadini, giusto fosse al maggior segno, pure negli affari pubblici molte cose faceva secondo la costituzione e le circostanze