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540 | osservazioni sulla morale cattolica |
sola differenza del più e del meno, ci vuole un lungo e ostinato studio di far parere a sè stesso ciò che non è, e di dimenticare ciò che è: studio, del quale una moltitiudine non è capace. E se si domanda, con qual ragione una moltitudine qualunque o, in altri termini, il senso comune ammetta e tenga ferma questa distinzione tra i due concetti d’utilità e di giustizia, la risposta è inclusa nella domanda: sono due concetti, come sono due vocaboli. Uno è il concetto d’una legge de’ voleri e dell’azioni, fondata nella natura degli esseri; l’altro è il concetto d’un’attitudine delle diverse cose a produrre degli stati piacevoli dell’animo. E siccome questi concetti s’applicano moltissime volte da tutti gli uomini, e le più di queste separatamente e ognuno da sè; siccome dico, si può pensare, e si pensa effettivamente, alla giustizia d’un’azione, senza pensare nè punto nè poco alla sua utilità, e viceversa; così non c’è nulla per il comune degli uomini (come non c’è nulla di ragionevole per nessuno), che porti a dubitare della duplicità di que’ concetti, a perder di vista una distinzione tanto manifesta e tanto costante, tra due oggetti del pensiero.
Ma se dicessimo che anche il Bentham l’intendeva in fondo come il popolo d’Atene e come ognuno; che concepiva anche lui la giustizia come un’essenza distinta dall’utilità, e avente de’ suoi attributi propri, che non appartengono a questa, sarebbe ora una temerità davvero? Meno che mai, perchè qui non c’è bisogno di presumere: ha detta la cosa lui medesimo in un momento di distrazione. Distrazione un po’ forte, perchè venuta subito dopo aver affermato il contrario; ma non c’è da meravigliarsi che uno sia distratto facilmente da ciò che non ha davvero nell’animo. In una nota al luogo citato dianzi, dopo aver detto che uno storico inglese ha dimostrato falso l’aneddoto, aggiunge: «Plutarco che voleva far onore agli Ateniesi, sarebbe stato impicciato bene a conciliare con questo nobile sentimento di giustizia la maggior parte della loro storia.»
Nobile sentimento di giustizia? Cosa salta fuori ora? Sentimento d’utilità, doveva dire, se non si trattava d’altro che d’un bilancio di beni e di mali. Ma allora cosa ci ha che fare la nobiltà del sentimento? Rifiutare un progetto che «farebbe perdere incomparabilmente più di ciò che farebbe acquistare,» è senza dubbio una determinazione giudiziosa; ma qual ragione di chiamarla nobile? Non voler comprare in grande una merce, quando si prevede che sia per rinviliare, l’avrebbe il Bentham chiamato un nobile sentimento? E se la giustizia, per chi non si lascia portar via dalle parole, ma ne indaga l’intimo significato, non vuol dir altro che utilità, perchè applicare a una denominazione la qualità che non s’applicherebbe all’altra? Singolare parola questa «giustizia,» che, non volendo dir nulla per sè, e non essendo altro che un mezzo indiretto e improprio di significare una cosa, può ricevere un titolo bellissimo, che al nome vero della cosa non starebbe bene! un titolo che, in morale, non avrebbe significato veruno, non si sarebbe mai potuto pensare a applicarlo a nessun sentimento, a nessuna azione umana, se la giustizia non fosse altro che utilità! Come si spiega un simile imbroglio? L’abbiamo detto. Il Bentham credeva in fondo che la giustizia ha un oggetto distinto dall’utilità, e che appunto per questo l’amore della giustizia è un sentimento nobile; e gli scappò fuori ciò che aveva in fondo. Habemus confitentem.... virum bonum. È l’onesta natura e il senso retto dell’uomo, che scacciati dalla trista forca del sistema, tornano indietro di corsa1.
Che se paresse a qualcheduno, che questo sia quasi un cogliere un uomo in parole sfuggite senza considerazione, e non richieste nemmeno
- ↑ Naturam expellas furca, tamen usque recurret. Horat. I, Epist. X, 24.