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538 | osservazioni sulla morale cattolica |
Prendetela con la natura umana; prendetela col senso comune, che la nostra teoria non ha fatto altro che interpretare, riducendo i suoi giudizi uniformi e costanti a una sintesi precisa e fedele. Andate a dire a tutti gli uomini, che il criterio di cui si servono perpetuamente per la scelta delle, loro azioni, è immorale e antilogico.
Non ci vuol molto a scoprir qui un falso ragionamento fondato sull’alterazione d’un fatto. Altro è che l’utilità sia un motivo, cioè uno de’ motivi per cui gli uomini si determinano nella scelta dell’azioni, altro è che sia, per tutti gli uomini, il motivo per eccellenza, l’unico motivo delle loro determinazioni. Non hanno osservato que’ filosofi, o piuttosto sono riusciti a dimenticarsi (giacchè è un’osservazione che non hanno potuta non fare migliaia di volte, e non solo sugli altri, ma sopra loro medesimi) che, per gli uomini che si propongono d’operar moralmente (e la questione, essendo sulla moralità, non contempla se non questi), l’utilità è bensì un motivo, ma un motivo subordinato e secondario; e che, lungi dall’esser presa per criterio in una questione di moralità, la suppone già sciolta, o che non ci sia neppure il bisogno d’esaminarla. È verissimo che, in molte, anzi in moltissime deliberazioni, anche questi uomini non considerano altro che l’utilità: Ma quando e perchè? Quando si tratti di scegliere tra delle azioni, ognuna delle quali sia, riguardo alla moralità, conosciuta, eleggibile, e conosciuta tale per un criterio affatto diverso, e che contempla, non gli effetti possibili e ignoti dell’azioni, ma la loro essenza medesima; cioè per la nozione della giustizia. Un galantuomo che deliberi intorno al comprare una cosa qualunque, nelle circostanze che rendono legittima una tale azione, potrà bilanciar lungamente l’utile dell’acquisto e l’inconveniente della spesa, senza che gli venga neppure in mente che ci sia una moralità al mondo. Ma qual maraviglia che una considerazione non entri dov’è sottintesa? che la mente non cerchi in un’azione la qualità ch’era già associata ad essa? che la prudenza parli sola, quando la giustizia non ha che dire? Ecco dove l’esperienza è una bona guida: dove basta ciò che essa può far trovare, e che non si troverebbe senza il suo aiuto: cioè una maggiore probabilità. Ecco fin dove è tenuta tale dal senso comune, al quale, così a torto, s’appella il sistema. L’errore, inetto a scoprire, non ha che l’abilità d’alterare; e qui ha preso al senso comune il metodo d’applicare il criterio dell’utilità e i dati dell’esperienza a una categoria, e categoria subordinata, di deliberazioni; e, per farne una cosa sua, e dargli una nova forma apparente, non ha fatto altro, che trasportarlo a tutte le deliberazioni; da un posto secondario, dove aveva la sua ragion d’essere, al primo, anzi a un unico posto, dove non n’ha veruna.
Ma oltre i casi, frequentissimi senza dubbio, ne’ quali la considerazione della moralità non dà nell’occhio, perchè sottintesa, ce ne sono; eccome! di quelli in cui entra esplicitamente, sia per riprovare un’azione come, ingiusta, sia per esaminare se un’azione sia giusta o ingiusta, lecita o illecita. E in questi casi, l’utilità, non che esser presa (s’intende sempre dagli uomini che si propongono d’operar moralmente) nè per il solo, nè per il preponderante criterio, non è nemmeno presa in considerazione.
So bene che i propugnatori del sistema dell’utilità dicono che questa è una mera illusione; che, in fatto, ciò che si considera anche in que’ casi, è l’utilità e il danno; e che le parole «giusto» e «ingiusto» quantunque presentino in apparenza e confusamente un altro significato, tornano in ultimo a quel medesimo: cioè che «giusto» non significa in fondo, se non ciò che porta più utile che danno; e «ingiusto,» ciò che, quando pure paresse avere, o avesse anche con sè una qualche utilità immediata, porta alla fine un danno superiore ad essa.