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536 | osservazioni sulla morale cattolica |
come fa quel sistema, è proporre un criterio, non dirò ingannevole, ma inapplicabile, tanto nell’una, che nell’altra maniera.
Che se, in una cosa tanto evidente, potesse parer necessaria una più particolare dimostrazione, si veda, di grazia, come mai un uomo qualunque possa giudicare anticipatamente con certezza, se una data azione sia per riuscire più utile che dannosa a lui medesimo; che, delle due ricerche, può parere, a prima vista, la meno difficile. Ha forse l’avvenire davanti a sè? Conosce gli effetti degli effetti, le circostanze independenti dalla sua azione, e che opereranno sopra di lui in conseguenza di quella? le determinazioni ch’essa potrà suggerire ad altri uomini, noti, ignoti a lui, a seconda di loro interessi, di loro opinioni, di loro capricci? Conosce il cambiamento possibile dei suoi sentimenti stessi? la durata della sua vita, da cui può dipendere che un’azione la quale, fino a un certo tempo, aveva portato utile, porti danno, e viceversa? Quale sarà la guida che possa condurlo al termine d’una tale ricerca?
L’esperienza, dicono.
Guida eccellente, senza dubbio, ma fin dove può arrivare essa medesima. L’autorità dell’esperienza, riguardo ai fatti contingenti avvenire, è fondata sulla supposizione tacita (che la riflessione poi dimostra ragionevolissima) d’un ordine che comprende ugualmente i fatti che sono stati e quelli che sono, e quelli che saranno; e del quale, per conseguenza, i primi, cioè quelli tra i primi, che possiamo conoscere, sono per noi una certa qual manifestazione limitata e parziale, e quindi un indizio de’ futuri. Se poi anche il sistema deduca da quest’ordine l’autorità dell’esperienza, e se possa ammetterlo senza rinnegar sè medesimo; o su che altro fondi quell’autorità, e se ci sia altro su di che fondarla, non occorre qui di farne ricerca. Basta al nostro assunto quella verità innegabile, che dall’esperienza non si può ricavare, riguardo al futuro, nulla più che un indizio di maggiore o di minor probabilità. E l’esperienza medesima, facendoci, per dir così, passar davanti agli occhi tanti e tanti fatti prodotti da cagioni imprevedute e imprevedibili, attesterebbe, se ce ne fosse bisogno, che non si può da essa ricavare una regola certa dell’utile o del danno individuale che possa risultare da un’azione; e non occorre aggiungere: dell’utile e del danno generale. Anzi, a prima vista, come ho già accennato, questa seconda scoperta può parere la più difficile. Ma chi appena ci rifletta deve vedere che non si tratta qui di maggiòre o minor difficoltà: sono due scoperte ugualmente impossibili. A far conoscere il futuro l’esperienza è inetta per chi non conosce il tutto, superflua per Chi lo conosce. All’uomo non basta; Dio non n’ha bisogno.
Ma, replicano, quando mai ci siamo noi sognati di chiedere e d’attribuir tanto alla previsione umana? Chi non sa che l’esperienza non può condurre alla cognizione assolutamente certa del futuro? che l’utile e il danno avvenire non possono esser altro che materia di probabilità? E appunto perchè l’uomo non possiede l’onniscienza, deve contentarsi della semplice probabilità.
Se fossero veramente persuasi di ciò, non si vede come potrebbero credere che ci sia una scienza della morale: e lo credono però certamente, poichè dicono d’averne trovato il vero fondamento. Cosa sarebbe infatti una scienza fondata su un principio, e armata d’un criterio, volendo applicare il quale, non si trovasse a ogni immaginabile quesito altra risposta che: forse sì, e forse no? Cosa sarebbe, non dico una scienza, nell’applicazione della quale l’uomo potesse qualche volta rimaner dubbioso (che questa è una condizione di tutte le scienze, o piuttosto dell’uomo); ma una che, al dubbio di chi ricorre ad esso, non potesse mai rispondere se non col dubbio? Per avere delle nozioni certe, non è punto necessaria