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APPENDICE AL CAPITOLO TERZO
DELLE OSSERVAZIONI SULLA MORALE CATTOLICA.
Nella prima edizione, si contenevano alcuni cenni intorno a questo sistema, per ciò che riguarda la sua applicazione, o piuttosto la sua applicabilità, alla pratica. Ma erano cenni rapidi e leggieri; e essendo questo il più accreditato tra i sistemi che vogliono distinta affatto, e separata per principio la morale dalla teologia, abbiamo creduto che non sarebbe fuori di proposito di farci sopra qualche osservazione più estesa. Ci limiteremo però, per quanto sarà possibile, a considerarlo da quell’aspetto solo; perchè, da una parte, il suo vizio più essenziale e più immediato, cioè l’assoluta mancanza di moralità, è già stato messo da altri in piena luce; e dall’altra, il chiarirlo inapplicabile (logicamente, s’intende) è un’altra maniera di dimostrarlo falso.
Questo sistema pone che la vera utilità dell’individuo s’accorda sempre con l’utilità generale, dimanierachè l’uomo, giovando agli altri, procaccia il maggior utile a sè stesso. E da ciò vuol che si deva ricavare la regola morale delle deliberazioni umane. Il nostro assunto principale è d’esaminar se si possa. Supponiamo dunque, prescindendo da ogni altra considerazione, un uomo persuaso della verità di questo principio, e disposto sinceramente a uniformarcisi nella pratica; supponiamolo, dico, alla scelta d’un’azione, in una cosa dove sia interessata la moralità. Qual è il criterio che il sistema gli potrà somministrare per far questa scelta.
Fatto non già unico, ma notabile certamente i due criteri invece d’uno non dirò somministra, ma implica questo sistema. Dico due criteri d’uguale autorità, e independenti l’uno dall’altro; giacchè, se l’interesse individuale s’accorda sempre con l’interesse generale, è evidente che trovarne uno è averli trovati l’uno e l’altro; e che, per conseguenza, farebbe una fatica assurdamente superflua chi, dopo essersi persuaso che l’azione intorno alla quale delibera sarà utile, a lui, si mettesse, per assicurarsi della moralità di essa, a cercare se sarà utile anche agli altri, e viceversa. Ma quest’abbondanza apparente non è, nè potrebb’essere altro, che una mancanza reale. Ogni duplicità non ha la sua ragione e la sua concordia, che in un’unità superiore, la quale in questo sistema manca affatto, anzi n’è esclusa; giacchè, nè esso pretende di dare, nè avrebbe di che dare, una ragione per la quale l’utilità dell’individuo operante deva necessariamente accordarsi con l’utilità generale. Appunto perchè non può somministrare un unico, supremo, assoluto criterio, come la ragione richiede, ne implica, come s’ è detto dianzi, due d’ugual valore, cioè ugualmente congetturali; e ciò per effetto della loro comune natura, Cos’è infatti l’utilità avvenire, sia individuale, sia generale, riguardo alla cognizione umana, se non una cosa di mera congettura? Perchè, non è essa punto una qualità che l’osservazione possa riconoscere come inerente, o no, all’azione da farsi, o da non farsi, alla quale il criterio dev’essere applicato; è un effetto che potrà venire, o non venire da quell’azione; dependentemente dall’operazione eventuale d’altre cagioni. E quindi, proporre l’utilità per criterio primario, anzi unico, della moralità dell’azioni umane,