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520 osservazioni sulla morale cattolica

degli uomini che si lamentino d’esser troppo sensibili ai mali altrui. Tra questo querulo vanto di sentir troppo, e quell’umile confessione di non sentire abbastanza, qual è che annunzi una contentatura più difficile, e, per conseguenza, un principio più imperioso e più attivo?




CAPITOLO DECIMOSESTO


SULLA SOBRIETÀ E SULLE ASTINENZE, SULLA CONTINENZA E SULLA VERGINITÀ.


La sobrieté, la continence sont des vertus domestiques qui conservent les facultés des individus, et assurent la paix des familles; le casuiste a mis à la place les maigres, les jeunes, les vigiles, les v.ux de virginité et de chasteté; et à côté de ces vertus monacales, la gourmandise et l’impudicité peuvent prendre racine dans les coeurs. Pag. 420.

L’istituzioni relative all’astinenza sono di quelle che il mondo s’è ingegnato a render ridicole: per cui molti di que’ medesimi che le venerano in cor loro, parlano in loro difesa con timidi riguardi, non osano quasi adoprare i nomi propri, e lasciano credere che la ragione, rispettandole, non faccia altro che sottomettersi ciecamente a una sacra e incontrovertibile autorità. Ma chi cere sinceramente la verità, in vece di lasciarsi spaventare dal ridicolo, deve sottoporre a un libero esame il ridicolo stesso.

Quello di cui si tratta qui, ha una causa e un pretesto. La causa è l’avversione del mondo per la mortificazione del senso, e conseguentemente per tutto ciò che la prescrive, in una forma qualunque. Ma, per non allegar questa vera causa (che sarebbe un confessarsi schiavo del senso), il mondo procura di darsi a intendere che ciò che gli repugna in queste prescrizioni, è qualcosa di contrario alla ragione. E a questo fine, dimentica o finge di dimenticare il loro spirito e i loro motivi: che è certamente il mezzo più spiccio di farle comparire stravaganti. Non si vergognerà, per esempio, di continuar per de’ secoli a domandare cos’importi a Dio, che gli uomini usino certi cibi, piuttosto che certi altri, e di mettere in campo altri argomenti di simil peso.

Ciò poi che dà un’occasione, o meglio un pretesto, di ridere di queste prescrizioni, è la maniera con cui sono eseguite da de’ cattolici. Le Scritture e la tradizione rappresentano il digiuno come una disposizìone di staccatezza e di privazioni volontarie, della quale, l’astenersi dal cibo, per un dato tempo, è una parte, un modo naturale, una conseguenza necessaria. In uomini affaccendati nella ricerca de contenti mondani d’ogni genere, nemici d’ogni umiliazione e d’ogni patimento, questa sola parte di penitenza, eseguita farisaicamente, produce una dissonanza, nella quale il mondo trova quello che basta a lui per ridere, e del fatto e dell’istituzione insieme. L’astinenza poi da certi cibi in certi giorni, è anch’essa una specie di digiuno, un mezzo prescritto dalla Chiesa, per unire la penitenza e la privazione anche con l’uso necessario degli alimenti. Se alcuni hanno saputo convertirlo in un mezzo di raffinamento, certo che una