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capitolo decimoquinto 519

fatto, come quella che s’è esaminata nel presente capitolo? Se non m’inganno, da un’estensione affatto abusiva, anzi dall’alterazione manifesta di quell’insegnamento, non italiano, ma veramente cattolico, che il solo motivo di sollevare il suo simile non basta a render cristiana e santa l’elemosina, e a darle un merito soprannaturale. Mi servirò anche qui d’alcune parole del Segneri, che esprimono questo sentimento, senza contradire, ne punto nè poco, all’altre sue citate dianzi: «Se non che, avvertite che non basta a un vero limosiniere quella pietà naturale, con la quale si compatisce un uomo perch’egli è uomo. Fin qui sanno anche giungere gl’infedeli..... Troppo più alto prende però la mira l’occhio d’un limosiniere fedele, qual noi cerchiamo. Non solo ha egli compassione del povero, ma gliel’ha per amor di Dio. Anticamente sopra il fuoco che s’era acceso a bruciar la vittima, pioveva Iddio un’altro fuoco più segnalato e più sacro che, giunto al primo, desse compimento più nobile al sacrifizio. Or figuratevi che così faccia la carità sopra quelle fiamme di compassion naturale, per sè lodevole: aggiunge ella anche altre fiamme d’amor cristiano, per cui si compiste l’olocausto in odore di soavità1

Ora, se quella falsa credenza ha avuta occasione da quest’insegnamento (e non saprei immaginarmi da cos’altro) basterà, se non è superfluo, l’osservare la differenza, anzi la diversità, che passa tra l’insegnare che l’elemosina dev’esser fatta, non solo per sollevare il suo simile, e l’insegnare che non dev’esser fatta per sollevare il suo simile. E d’altra parte, chi può non vedere quanto sia cosa giusta per sè, e independentemente da qualunque altro riguardo, il riferire ogni nostro sentimento verso qualunque creatura, all’Autore di tutte? chi non riconosce in questo una condizione essenziale e universale del culto medesimo? giacchè, quali nostri sentimenti si dovranno riferire a Dio, se non tutti? Che parte fargli? Quali cose amare per Lui, dependentemente da Lui, e relativamente a Lui, e quali altre per loro medesime, come nostro fine, come ultimo e unico termine dal nostro affetto? È dunque verissimo che, per un insegnamento essenziale del cristianesimo, depositario della vera nozione di Dio e delle creature, e non già per un ritrovato di casisti, l’intento di sollevare il suo simile, si trova subordinato a un intento superiore. Ma è forse a scapito di quella compassione naturale per sè lodevole? Quando mai un bon sentimento qualunque ha potuto perdere la sua giusta attività, per esser collocato nel suo ordine? E nel caso presente, chi non vede quanto l’inclinazion naturale a sollevare il suo simile (naturale bensì, ma da quante inclinazioni opposte combattuta!) deva, acquistar di forza, di prevalenza, d’universalità, dall’amarlo per Dio, e in Dio, come fatto a di Lui immagine, redento da Lui, come quello nel quale Egli ama d’abitare come in suo tempio? Perchè, tale è la sublime estensione data dal cristianesimo alla significazione di quel simile, così ristretta, e, per conseguenza, così poco efficace e feconda, nel solo senso naturale. In un animo dove regni veramente l’amor di Dio, non può aver luogo l’indifferenza per i patimenti del prossimo. «O Seigneur! esclama il Bossuet, si je vous aimois de toute ma force, de cet amour j’aimerois mon prochain comme moi même. Mais je suis si insensible à ses maux, pendant que je suis si sensible au moindre des miens. Je suis si froid à le plaindre, si lent à le secourir, si foible à le consoler; en un mot, si indifférent dans ses biens et dans ses maux2.» Non è raro il trovar

  1. Il Cristiano istruito. Parte I. Ragionamento 18.°
  2. Méditations sur l’Évangile; Sermon de Notre Seigneur sur la montagne, XLVIII jour.