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516 | osservazioni sulla morale cattolica |
La ragione dice e, per dir così, sente che il desiderio della felicità è naturale all’uomo; la religione, nella quale (non sarà mai ripetuto abbastanza) la ragione trova il suo compimento, insegna che il desiderio della felicità eterna, inseparabile dalla santità, è un dovere. All’amor di sè, che i sistemi di morale puramente umana si studiano, ora di combattere, ora di soddisfare, e sempre con mezzi insufficienti, la religione apre una strada verso l’infinito, nella quale può correre con l’illimitata sua forza, senza mai urtare il più piccolo dovere, senza offendere alcun nobile sentimento. Per questa strada, essa ha potuto condur l’uomo al massimo grado di vero disinteresse, e far che disprezzi i beni della terra, appunto perchè mira alla ricompensa1. Essa ha potuto farle rinunziare, non solo ai piaceri che sono direttamente dannosi agli altri, ma a molti ancora, che la morale del mondo, economa imprevidente, approva o promette. Perciò Gesù Cristo, dove appunto dà il motivo dell’elemosina, comanda non solo l’azione, ma il segreto; e levando la sanzione umana dell’amor della lode, ci sostituisce quella della vita futura. Il tuo Padre, che vede nel segreto, le ne darà egli la ricompensa2. Non vuol guarire l’avarizia con la vanità, non vuole che l’uomo si prenda nello stato presente le ricompense riservate all’altro, e colga, nella stagione in cui deve solo attendere a coltivarla, una messe che, recisa, s’inaridisce e non riempie la mano3; non vuol solamente de’ poveri sollevati, ma degli animi liberi, illuminati e pazienti. Cos’importa, dice spesso il mondo, da che fine provengano l’azioni utili, perchè ce ne siano molte? Domanda inconsiderata quanto si possa dire, e alla quale è troppo facile rispondere che importa di non distrarre gli uomini dal loro fine, di non ingannarli, di non avvezzarli all’amore di que’ beni per i quali si troveranno un’altra volta in contrasto tra di loro; di que’ beni che, goduti, accrescono bensì la sete di possederli, ma non la facoltà di moltiplicarli. Questa facoltà ammirabile non appartiene se non ai beni spirituali, che sono beni assolutamente veri, anche in questa vita, e perchè partecipano del Bene sommo e infinito, e perchè conducono a possederlo eternamente.
S’è fatto più volte alla morale cattolica un rimprovero opposto; cioè che non si faccia carico dell’amore di sè, quando prescrive l’annegazione, e l’amare il prossimo come sè stesso. Ma annegazione non vuol dire rinunzia alla felicità: vuol dire resistenza all’inclinazioni viziose nate in noi dal peccato, le quali ci allontanano dalla vera felicità. E in quanto al precetto d’amare il prossimo come sè stesso, ciò che ha potuto farlo parere ad alcuni eccessivo, ineseguibile, contrario alla natura dell’uomo,
- ↑ Maiores divitias æstimans thesauro Ægyptiorum, improperium Christi: aspiciebat enim in remunerationem. Paul. ad Hebr. XI, 26.
- ↑ Ut sit eleemosina tua in abscondito; et Pater tuus, qui videt in abscondito, reddet tibi. Matth. VI, 4.
- ↑ De quo non implevit manum suam qui metit. Psal. CXXVIII, 7.
torto filosofiche, nelle quali non si contempla che la vita presente, la questione è necessariamente piantata in falso: poichè, o c’è supposto tacitamente che non ci sia un’altra vita, o, ammettendola, almeno come possibile, non se ne fa caso: due modi di ragionare, de’ quali non si saprebbe dire qual sia il più anti-filosofico. Nella disputa teologica di cui s’è fatto cenno, l’errore aveva qualcosa di più strano, appunto perchè la questione era posta nella sua integrità. Quest’errore, confutato dal Bossuet con quella sua sapiente eloquenza, non tendeva niente meno che a metter l’amor di Dio in opposizione con una legge necessaria dell’animo, qual è il desiderio della felicità, e a far posporre la perfezione possibile, e promessa, a una perfezione arbitraria e assurda. È inutile aggiungere che queste conseguenze erano ben lontane dall’intenzioni del Fénelon. La sua pronta e costante sommissione alla condanna delle sue proposizioni, l’altre sue opere, e tutta la sua vita sono una prova della sincerità con cui non cessò mai di protestare che non intendeva, nè di proporre, nè d’accettare cosa alcuna che deviasse menomamente dalla fede della Chiesa.