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512 | osservazioni sulla morale cattolica |
quando insomma sia richiesto da giustizia e da utilità. Certo, in questi casi, è necessaria tutta la prudenza cristiana, ma la religione c’insegna i mezzi d’ottenerla. Con essa l’uomo può governarsi nelle difficili circostanze, nelle quali e il parlare e il tacere hanno qualche apparenza di male; in cui si deve opporsi a un maligno, e nello stesso tempo potersi render testimonianza di non esserci condotti da malignità. Il gemito dell’ipocrita che sparla di colui che odia, le proteste che fa d’essere addolorato de’ difetti dell’uomo che denigra, di parlar per dovere, sono un doppio omaggio e alla condotta e a’ sentimenti che la religione prescrive.
La Chiesa è tanto aliena dall’imporre silenzio alla voce della verità, quando sia mossa dalla carità; è tanto aliena dal trascurare alcun mezzo per cui gli uomini possano migliorarsi a vicenda, che condanna i rispetti umani. E quest’espressione medesima è sua; è una di quelle che il mondo non avrebbe sapute trovare, perchè intende e accenna un obbligo e un motivo soprannaturale di non tacer la verità in certi casi. Così ha prevenuto l’animo debole contro il terrore che la forza, che la moltitudine, che la derisione, che il possesso delle dottrine mondane, gli sogliono incutere; così ha resa libera la parola in bocca all’uomo retto. Essa ha anche comandata la correzione fraterna, mirabile tempra di parole, in cui, all’idea di correzione, che urta tanto il senso, è unita immediatamente l’idea di fraternità, che rammenta i fini d’amore, e la comune debolezza, e la disposizione a ricever la correzione in chi la fa agli altri. La Chiesa non impedisce alcuno de’ vantaggi che possono venire dalla sincera e spassionata espressione della verità, e dal fondato e giusto discernimento tra la virtù e il vizio.
Mi si permetta di collocar qui una riflessione che è sottintesa in molti luoghi di questo scritto, e che sarà espressamente riprodotta e svolta in qualche altro. Ogni qual volta si crede trovare nella religione un ostacolo a qualche sentimento o a qualche azione o a qualche istituzione giusta e utile, generosa e tendente al miglioramento sociale, si troverà, esaminando bene, o che l’ostacolo non esiste, e la sua apparenza era nata dal non avere abbastanza osservata la religione; o che quella cosa non ha i caratteri e i fini ch’era parso alla prima. Oltre l’illusioni che possono venire dalla debolezza del nostro intendimento, c’è una continua tentazione d’ipocrisia, dirò così, verso noi medesimi, dalla quale non sono esenti gli animi più puri e desiderosi del bene; d’un’ipocrisia che associa subito l’idea d’un bene maggiore, l’idea d’un’inclinazione generosa ai desidèri delle passioni predominanti: dimanierachè ognuno, chiamando a esame sè stesso, non può qualche volta esser certo dell’assoluta rettitudine de’ fini che lo movono; non può discernere che parte ci abbia, o l’orgoglio o la prevenzione. Se allora condanniamo le regole della morale, perchè ci paiono più corte de’ nostri ritrovati, serviamo a de’ sentimenti riprovevoli che non confessiamo nemmeno a noi stessi, o che forse combattiamo in noi ; ma che non s’estinguono interamente in questa vita.
S’osservi finalmente che, se l’aumento della diffidenza fosse un effetto della proibizione di parlar male, siccome questa proibizione è intimata in tutto il mondo cattolico1, così ne verrebbe, o che la diffidenza n’è accresciuta pertutto, o che in Italia i precetti sono più osservati che altrove: la qual cosa sarebbe invece un indizio d’un migliore stato morale. Io non so se noi Italiani siamo più diffidenti degli altri Europei; so che ci lamentiamo di non esserlo abbastanza; so che (come, del resto, tutte