Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/515


capitolo decimoquarto 509

sioni! È l’orgoglio, che tacitamente ci fa supporre la nostra superiorità nell’abbassamento degli altri, che ci consola de’ nostri difetti col pensiero che altri n’abbiano de’ simili o de’ peggiori. Miserabile traviamento dell’uomo! Bramoso di perfezione, gli aiuti che la religione gli offre a progredire verso la perfezione, assoluta, per la quale è creato, e s’agita dietro una perfezione comparativa; anela, non a esser ottimo, ma, a esser primo; vuol paragonarsi, e non divenire. È l’invidia, inseparabile dall’orgoglio, l’invidia che si rallegra del male come la carità del bene, l’invidia che respira più liberamente quando una bella riputazione sia macchiata, quando si provi che c’è qualche virtù o qualche talento di meno. È l’odio, che ci rende tanto facili sulle prove del male: è l’interesse che fa odiare i concorrenti d’ogni genere. Tali e simili sono le passioni, per le quali è così comune il dire e l’ascoltare il male: quelle passioni che spiegano in parte il brutto diletto che l’uomo prova nel ridere dell’uomo e nel condannarlo, e la logica indulgente e facile sulle prove del male, mentre spesso s’istituisce un giudizio così severo prima di credere una bona azione, o l’intenzione retta e pura d’una bona azione. Non c’è da maravigliarsi che la religione non sappia che fare di queste passioni, e di ciò che le mette in opera: materiali fradici e repugnanti a ogni connessione, come entrerebbero nell’edifizio d’amore e d’umiltà, di culto e di ragione, chi essa vuol innalzare nel core di tutti gli uomini?

C’è nella maldicenza un carattere di viltà che la rende simile a una delazione segreta, e fa risaltare anche da questa parte la sua opposizione con lo spirito del Vangelo, che è tutto franchezza e dignità, che abbomina tutte le strade coperte, per le quali si nuoce senza esporsi; e che, ne’ contrasti che si devono pur troppo avere con gli uomini per la difesa della giustizia, comanda per lo più una condotta che suppone coraggio. Il censurare gli assenti è le più volte senza pericolo di chi lo fa; sono colpi dati a chi non si può difendere; è non di rado un’adulazione, tanto più ignobile quanto più ingegnosa, verso chi ascolta. Non parlerai male d’un sordo1, è una delle pietose e profonde prescrizioni mosaiche: e i moralisti cattolici che l’applicarono anche all’assente, hanno fatto vedere che entravano nel vero spirito d’una religione; la quale vuole che quando uno è costretto a opporsi, lo faccia conservando la carità, e fuggendo ogni bassa discortesia.

La maldicenza, si dice da molti, è una specie di censura che serve a tenere gli uomini nel dovere. Sì, come un tribunale composto di giudici interessati contro l’accusato, dove l’accusato non fosse nè confrontato, nè sentito, dove chi volesse prendere le sue difese fosse per lo più scoraggito e deriso, dove per lo più tutte le prove a carico fossero fatte bone; come un tal tribunale sarebbe adattato a diminuire i delitti. È una verità troppo facile a osservarsi, che si presta fede alle maldicenze sopra argomenti che, se s’avesse un interesse d’esaminarne il valore, non basterebbero a produrre nemmeno una piccola probabilità.

La maldicenza rende peggiore chi parla e chi ascolta, e per lo più anche chi n’è l’oggetto. Quando colpisce un innocene (e per quanto sia grande il numero de’ falli, quello dell’accusa ingiuste è superiore di molto), qual tentazione non è questa per lui! Forse percorrendo a stento la strada erta della probità, si proponeva per fine l’approvazione degli uomini, era pieno di quell’opinione, tanto volgare quanto falsa, che la virtù è sempre conosciuta e apprezzata: vedendola sconosciuta in sè, principia a credere che sia un nome vano; l’animo suo, nutrito dell’idee ilari e tranquille

  1. ’’Non maledices surdo. Levit. XIX, 14.