Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
482 | osservazioni sulla morale cattolica |
I.
Dobbiamo qui rammentar di novo: che, in ogni questione intorno al merito d’una dottrina morale, è necessario, prima di tutto, esaminar questa dottrina direttamente e in sè. Una dottrina morale qualunque, è necessariamente o vera o falsa; o consentanea o opposta alla rivelazione e alla ragione. Prescindere da una tale ricerca, e volerla giudicare puramente dagli effetti, o per parlar più esattamente, da alcuni fatti che possano aver luogo insieme con essa, sarebbe lasciar da una parte il vero e unico mezzo di giudicarla con cognizione di causa, e prenderne uno, non solo inadequato, ma essenzialmente fallace. Perchè, oltre l’impossibilità di conoscere tutti que’ fatti, e la difficoltà di stimare imparzialmente que’ tanti che si possono conoscere, il riguardarli addirittura come effetti della dottrina, sarebbe un attribuire ad essa ciò che sicuramente non è tutto suo, e che può non esser suo per nulla. Una dottrina morale può bensì essere, e è ordinariamente, una cagione di fatti; ma non n’è mai la sola; anzi è, in quanto cagione, condizionata e subordinata a un’altra, cioè alla volontà dell’uomo. E chi non sa che, in virtù di questa libera volontà, l’uomo può rivolgersi al male; anche dopo aver ricevuta in massima la dottrina più propria a dirigere al bene? Una dottrina che promettesse di rendere infallibilmente boni tutti gli uomini, col solo esser promulgata, potrebbe giustamente esser rigettata sulla semplice prova degli inconvenienti che sussistono con essa. Ma siccome la dottrina cattolica non fa una tale promessa, questa prova non basterebbe per farne un giudizio fondato. Bisogna esaminarla: se gli effetti cattivi hanno origine da lei, il vizio si troverà in lei stessa. Ma se, all’opposto, non ci troviamo altro che rettitudine e sapienza, potremo dire anche qui, che a lei non si devono attribuire altri effetti che i boni. A lei, dico, non come a cagione immediata, nè efficiente per sè, ma come a un motivo potente, e a una guida, in parte, necessaria; cioè in quella parte della moralità, che eccede la cognizione naturale, e che non ci poteva esser nota, se non per la rivelazione1.
- ↑ S’insiste particolarmente sulla necessità d’esaminare la dottrina, perchè questo esame è ordinariamente omesso, e molti, dopo aver citata una qualche iniquità commessa da de’ cattolici, credono d’aver giudicata la religione. Questa strana maniera, di ragionare è usitatissima in tutte le questioni che hanno relazione con la morale. Dove ci sono partiti, ognuno crede d’aver provata la bontà della sua causa, adducendo gl’inconvenienti dell’altra: ognuno paragona tacitamente la causa avversaria con un tipo di perfezione, e non gli è difficile dimostrare che ne sia lontana. Quindi quelle dispute eterne, nelle quali, lasciata indietro la questione essenziale, una parte espone, più o meno esattamente, la metà della questione accessoria, e trionfa; con questo che l’altra parte trionfi dal canto suo, esponendone l’altra metà. Si citano de’ fatti di prepotenza brutale sostenuta dagli usi, o anche dalle leggi; frivolezze tenute in gran conto, e cose importanti trascurate; scoperte del bon senso, o anche del genio, accolte come deliri; insistenze lunghissime degli uomini più accreditati, verso qualche scopo insensato, e sbaglio anche ne’ mezzi per arrivarci; bone azioni cagione di persecuzione, e azioni triste, cagione di prosperità, ecc., ecc., e si conclude dicendo: «Ecco il buon tempo antico;» e se ne cava argomento per ammirare lo spirito de’ tempi moderni. Da un’altra parte s’adducono imprese principiate in nome della giustizia e dell’umanità, e consumate col più tracotante arbitrio e con la più orribile ferocia; passioni preconizzate come un mezzo di perfezionamento individuale e sociale; la sapienza riposta da molti nella voluttà, e la virtù nell’orgoglio; e anche qui, come sempre e per tutto; la persecuzione della virtù e il trionfo del vizio, ecc., ecc., e si conclude dicendo: «Ecco il secolo de’ lumi;» e si