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capitolo ottavo 477

certezza lo è della speranza) non può essere opposto alla perfezione di essa.

Oso credere che, se la dottrina della giustificazione per la sola fede fosse proposta in questi tempi, per la prima volta, con qualsisia apparato di ragionamenti, e con qualsisia impeto d’eloquenza, troverebbe difficilmente qualche seguace, non che tirarsi dietro l’intere popolazioni. E credo ugualmente che ognuno sarà ora facilmente d’accordo con l’illustre autore nel riguardarla come naturalmente sovvertitrice della morale. Credo ancora, che non avrebbe maggior seguito l’altra dottrina, o conseguente o analoga, della certezza della salute. Ogni errore, per entrar nelle menti, ha bisogno d’un concorso particolare di circostanze, quantunque possa durare, anche mutate queste; e quantunque possano durare i suoi effetti, anche quando abbia perduta, o affatto o in gran parte, la sua forza; come durano purtroppo le dolorosissime separazioni, delle quali que’ nuovi dommi furono quasi le prime cagioni, e, per qualche tempo, cagioni attive e potenti.



III.


Spirito e effetti delle forme imposte alla penitenza.


Quali sono poi finalmente queste forme penitenziali? La confessione delle colpe, per dare al sacerdote la cognizione dell’animo del peccatore, senza la quale è impossibile ch’egli eserciti la sua autorità; l’imposizione dell’opere di soddisfazione; la formula dell’assoluzione. Io non mi propongo di farne l’apologia; giacchè cosa può mai trovarsi a ridire in esse, che non sono altro che il mezzo più semplice, più indispensabile, più conforme all’istituzione evangelica, per applicare la misericordia di Dio, e il Sangue della propiziazione? Farò bensì osservare, non già tutti gli effetti di questa istituzione divina (rimettendomi alle molte opere apologetiche che ne ragionano, e alle lodi che ha avute anche da molti di quelli che non (hanno conservata), farò osservare principalmente quegli effetti che sono in relazione col ritorno alla virtù per i traviati, e col mantenimento della virtù ne’ giusti.

L’uomo caduto nella colpa ha purtroppo una tendenza a persisterci; e l’essere privato del testimonio della bona coscienza l’affligge senza migliorarlo. Anzi è una cosa riconosciuta che il reo aggiunge spesso colpa a colpa, per estinguere il rimorso; simile a coloro che, nella perturbazione e nel terrore dell’incendio, buttano nelle fiamme ciò che vien loro alle mani, come per soffogarle. Il rimorso, quel sentimento che la religione con le sue speranze fa diventar contrizione, e che è tanto fecondo in sua mano, è per lo piú o sterile o dannoso senza di essa. Il reo sente nella sua coscienza quella voce terribile: non sei più innocente; e quell’altra più terribile ancora: non potrai esserlo più; e riguardando la virtù come una cosa perduta, sforza l’intelletto a persuadersi che se ne può far di meno, che è un nome, che gli uomini l’esaltano perchè la trovano utile negli altri, o perchè la venerano per pregiudizio; cerca di tenere il core occupato con sentimenti viziosi che lo rassicurino, perchè i virtuosi sono un tormento per lui. Ma per lo più quelli che vanno dicendo a sè stessi che la virtù è un nome vano, non ne sono veramente persuasi: se una voce interna annunziasse loro autorevolmente, che possono riconquistarla, la crederebbero una verità, o, per dir meglio, confesserebbero a sè stessi d’averla, in fondo, creduta sempre tale. Questo fa, la religione in chi vuole ascoltarla: essa parla in nome d’un Dio che ha promesso di buttarsi dietro