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capitolo settimo 463

teressi, l’obbiezioni; e questa perfezione riceve anche nel tempo una gran ricompensa. A tutte le vittorie morali succede una calma consolatrice; e amare in Dio quelli che si odierebbero secondo il mondo, è nell’anima umana, nata ad amare, un sentimento d’inesprimibile giocondità.

Ci fu però uno scrittore, e non di poca fama certamente, il quale pretese che il conciliare la guerra all’errore e la pace con gli uomini sia una cosa non difficile, ma impossibile. «La distinction entre la tolérance civile et la tolérance théologique est puérile et vaine. Ces deux tolérances sont inséparables, et l’on ne peut admettre l’une sans l’autre. Des anges même ne vivroient pas en paix avec des hommes qu’ils regarderoient comme les ennemis de Dieu 1

Quali conseguenze da una tale dottrina! I primi cristiani non dovevano dunque credere che adorare gli idoli e sconoscer Dio rendesse l’uomo nemico a Lui. Hanno dunque fatto male a combattere il gentilesimo; perchè è un’impresa almeno imprudente e pazza il predicare contro una religione che non rende nemici di Dio quelli che la professano. E quando san Paolo, per accrescere la riconoscenza e la fiducia de’ fedeli, rammentava la misericordia usata loro da Dio, nel tempo ch’erano suoi nemici2, proponeva loro un’idea falsa e antisociale.

Vivere in pace con degli uomini che si hanno per nemici di Dio, non sarà possibile a quelli che credono che Dio stesso glielo comanda? a quelli che non sanno se siano essi medesimi degni d’amore o d’odio3, e che sanno di certo che diverrebbero nemici di Dio essi medesimi, rompendo la pace? a quelli i quali pensano che un giorno si chiederebbe loro se la fede gli era stata data per dispensarli dalla carità, e con che diritto aspettano la misericordia, se, per quanto era in loro, l’hanno negata agli altri? a quelli che devono riconoscere nella fede un dono, e tremare dell’uso che ne fanno?

Queste e altre ragioni si sarebbero potute addurre a chi avesse fatta una tale obbiezione al cristianesimo, quando apparve; ma, ai tempi del Rousseau, essa riesce stranissima. poiché impugna la possibilità d’un fatto di cui la storia del cristianesimo è una lunga e non interrotta testimonianza.

Quello che ne diede il primo esempio era, certo, al di sopra degli angeli; ma era anche un uomo; ma, ne’ disegni della sua misericordia, volle che la sua condotta fosse un modello che ognuno de’ suoi seguaci potesse imitare; e pregò morendo per i suoi uccisori. Quella generazione durava ancora, quando Stefano entrò il primo nella carriera di sangue che l’Uomo-Dio aveva aperta. Stefano che, con sapienza divina, cerca d’illuminare i giudici e il popolo, e di richiamarli a un pentimento salutare; quando poi è oppresso, quando sta per compirsi sulla terra l’atto sanguinoso della sua testimonianza, dopo aver raccomandato il suo spirito al Signore, non pensa a quelli che l’uccidono, se non per dire: «Signore, non imputar loro questa cosa a peccato. E detto questo, s’addormentò nel Signore4

Tale fu, per tutti que’ secoli in cui gli uomini persistettero nella così cieca perversità di venerare gli idoli fatti da loro, e di far morire i giusti, tale fu sempre la condotta de’cristiani: la pace orribile del gentilesimo non fu mai disturbata nemmeno da’ loro gemiti. Cosa si può fare di più

  1. Émile, liv. IV. not. 40.
  2. Si enim, cum inimici essemus, reconciliati sumus Deo per mortem Filii eius; multo magis reconciliati, salvi erimus in vita ipsium. Ad Rom. V, 10.
  3. Nescit homo, utrum amore, an odio dignus sit. Eccl. IX, 1
  4. Domine, ne statuas illis hoc peccatum. Es cum hoc dixisset, obdormivit in domino. Act. Apost. VII, 59.