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458 osservazioni sulla morale cattolica

divina delle Scritture, e pesiamo in essa ciò che è colpa grave, o per dir meglio, riconosciamo il peso che Dio ha dato a ciascheduna1.» Perchè, il vero appello è dalla coscienza alla rivelazione, cioè dall’incerto al certo, dall’errante e dal tentato all’incorruttibile e al santo.

Che se, con questa coscienza riformata e illuminata dalla rivelazione, osserviamo quello che la Chiesa c’insegna sulla gravità delle colpe, non troveremo che da ammirare la sua sapienza, e la sua fedeltà alla parola divina, della quale è interprete e depositaria. Vedremo che quelle cose che essa ascrive a peccato grave, vengono tutte da disposizioni dell’animo contrarie direttamente al sentimento predominante d’amore e d’adorazione che dobbiamo a Dio, o all’amore che dobbiamo agli uomini, tutti nostri fratelli di creazione e di riscatto; vedremo che la Chiesa non ha messo tra le colpe gravi nessun sentimento che non venga da un core superbo e corrotto, che non sia incompatibile con la giustizia cristiana, nessuna disposizione che non sia bassa, carnale o violenta, che non tenda ad avvilir l’uomo, a stornarlo dal suo nobile fine, e a oscurare nella sua anima i segni divini della somiglianza col Creatore; e sopra tutto nessuna disposizione per la quale non sia espressamente intimata nelle Scritture l’esclusione dal regno de’ cieli. Ma, specificando queste disposizioni, la Chiesa ha ben di rado enumerati gli atti in cui si trovino al punto di renderli colpe gravi. Sa e insegna che Dio solo vede a qual segno il core degli uomini s’allontani da Lui; e fuorchè ne’ casi in cui gli atti siano un’espressione manifesta dell’essersi il core ritirato da Lui, essa non ha che a ripetere: Chi è che conosca i delitti2?

Oltre le disposizioni, ci sono dell’azioni per le quali nelle Scritture è pronunziata la morte eterna: sulla gravità di queste non può cader controversia.

Oltre di queste ancora, la Chiesa ha dichiarate colpe gravi alcune trasgressioni delle leggi stabilite da essa con l’autorità datale da Gesù Cristo. Non c’è alcuna di queste leggi che tema l’osservazione d’un intelletto cristiano, spassionato e serio; alcuna che non sia, in un modo manifesto e diretto, conducente all’adempimento della legge divina. Non sarà qui fuori del caso di discuterne una brevemente.

È peccato mortale il non assistere alla Messa in giorno festivo.

Chi non sa che la sola enunciazione di questo precetto eccita le risa di molti? Ma guai a noi, se volessimo abbandonare tutto ciò che ha potuto essere soggetto di derisione! Quale è l’idea seria, quale il nobile sentimento, che abbia potuto sfuggirla? Nell’opinione di molti non può esser colpa se non l’azione che tenda direttamente al male temporale degli uomini; ma la Chiesa non ha stabilite le sue leggi secondo questa opinione sommamente frivola e improvida: la Chiesa insegna altri doveri; e quando essa regola le sue prescrizioni secondo tutta la sua dottrina, bisogna prima confessare che è consentanea a sè stessa; e se le prescrizioni non paiono ragionevoli, bisogna provare che tutta la sua dottrina è falsa; non giudicare la Chiesa con uno spirito che non è il suo, e che essa riprova.

È notissimo che la Chiesa non ripone l’adempimento del precetto nella materiale assistenza de’ fedeli al Sacrifizio, ma nella volontà d’assisterci essa ne dichiara disobbligati gl’infermi e quelli che sono trattenuti da un’occupazione necessaria; e ritiene trasgressori quelli che, presenti con

  1. Non afferamus stateras dolosas, ubi oppendamus quod volumus, et quomodo volumus, pro arbitrio nostro dicentes, hoc grave, hoc leve est: sed afferamus divinam stateram de Scripturis Sanctis, tamquam de thesauris dominicis, et in illa quod sit gravius appendamus, immo non appendamus, sed a Domino appensa recognoscamus. De Baptismo, contra Donatistas. Lib. II, 9.
  2. Delicta quis intelligit? Psal. XVIII, 12.