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452 | osservazioni sulla morale cattolica |
è una stessa cosa. Ma per ciò appunto non posso crederti quando pretendi d’esser la vera religione. Non posso nemmeno ammettere la possibilità di trovarti tale, quando avessi esaminati i tuoi argomenti. Per ammettere una tale possibilità, dovrei supporre dimostrabile una di due cose ugualmente assurde: o una religione priva d’una dottrina morale; o una morale rivelata da Dio, e inferiore (uguale, sarebbe assurdo in un’altra maniera) alle cognizioni e ai ritrovati degli uomini.
Dobbiamo in ultimo render conto d’un’omissione che sarà facilmente notata da’ lettori più riflessivi. Avendo in questo troppo lungo capitolo avuto a considerare la morale sotto diversi aspetti, e in diverse sue applicazioni, non abbiamo però mai fatta menzione de’ doveri dell’uomo verso Dio, i quali sono certamente una parte (lasciamo star quanta) della morale. chi non voglia dire, o che l’uomo non abbia alcun dovere verso Dio, o che ci siano de’ doveri estranei alla morale. Non occorre avvertire che non abbiamo inteso con questo d’aderire all’opinione, o piuttosto alla consuetudine non ragionata e puramente negativa, di quelli che restringono la morale alle relazioni degli uomini tra di loro. Solamente abbiamo creduto che, anche rimanendo, in quest’ordine di fatti e d’applicazioni, si potesse trattare la questione senza mutilarla; giacchè una verità, per quanto le si restringa arbitrariamente il campo, si manifesta tutt’intera all’osservazione, anche in quel piccolo spazio che le è lasciato; appunto perchè è tutta in ogni sua parte; e, se ciò non fosse, non sarebbe possibile il fare di essa la minima applicazione. Il dimostrare che le relazioni degli uomini tra di loro sono ben lontane dall’esaurire e dall’adeguare il concetto intero della moralità, avrebbe senza dubbio somministrati degli argomenti più immediati contro la proposta separazione della morale dalla teologia; ma ci avrebbe condotti ancora più in lungo, e non si sarebbe potuto fare senza ripetere cose già dette molto bene da altri. Abbiamo dunque presa la questione dov’è confinata da molti, e dove, del rimanente, era stata lasciata dall’illustre autore; e abbiamo procurato, per quanto lo permettevano le nostre forze, di far vedere come, anche nella parte che riguarda le sole relazioni degli uomini tra di loro, la morale puramente filosofica sia naturalmente defettiva; come ogni volta che cerca d’arrivare col ragionamento quella perfezione che pure la ragione intravvede, il ragionamento, dopo inutili sforzi, vada, per dir così, a morire in un desiderio, e come questo giusto e nobile desiderio sia appagato dalla morale rivelata, e non lo possa essere che da questa; come il concetto della più eminente virtù dell’uomo verso gli uomini trovi la sua desiderata e manifesta ragione nel regno di Dio e nella sua giustizia1. Perfino il nome non l’ha se non in questa dottrina quella virtù medesima, quand’è eminente davvero. Non già un nome tutto suo, fatto per essa, e proprio esclusivamente di essa. Sarebbe poca cosa, e non potrebbe significar nulla d’eminente; poichè il suo concetto, non riferendosi che agli uomini, rimarrebbe necessariamente circoscritto ne’ limiti di quest’oggetto medesimo, e non anderebbe al di là di ciò che agli uomini può esser dovuto per la loro natura. Quello che una tal virtù riceve dalla dottrina evangelica è il nome sovrumano di Carità, il quale, unendo con l’amor di Dio l’amor degli uomini, lo fa in qualche maniera partecipare della ragione infinita di quello; nome che contempla in essi, non la sola
- ↑ Quaerite primum regnum Dei, et iustitiam eius: et haec omnia adiicentur vobis. Matth. VI, 33