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450 | osservazioni sulla morale cattolica |
ma, troppo spesso, in vece della naturale concordia tra le verità che quelle parole esprimono, gli pareva di vedere un contrasto doloroso, un escludersi a vicenda, e la luce d’una eclissare quella d’un’altra, o annebbiarsi scambievolmente. La scienza poi, non che comporre il dissidio e dissipare l’oscurità, l’accresceva per lo più, cambiando in altrettanti sistemi quelle triste oscillazioni delle menti, e sacrificando a una verità arbitrariamente prediletta dell’altre verità, e qualche volta impiegando tutto lo sforzo della riflessione, e l’apparato del ragionamento a negare le più nobili e le più sante. La dottrina evangelica, compimento della legge data a un popolo eletto1; questa dottrina affidata dal Messia alla Chiesa, per essere da lei conservata e predicata fino alla consumazione de’ secoli, ha rinfrancate e messe d’accordo tutte le verità morali, rivelando l’ordine intero dove appariscono, come sono, indivisibili: dimanierachè ciò ch’era un problema insolubile per i dotti, è diventata una cognizione evidente anche per gl’idioti. Dottrina, per possedere la quale, tutti coloro a cui, per inestimabile grazia è annunziata, non hanno a far altro che credere e amare. E questa credenza sia pure da alcuni chiamata cieca e materiale. Cieca e materiale credenza davvero, l’aderire con un assenso risoluto e fermo a tutte le diverse verità morali, non per quella sola luce, dirò così, parziale, con cui si presentano alla mente ciascheduna da sè, ma per la loro relazione con una verità suprema, nella quale tutte si riuniscono! Cieca e materiale credenza l’intendere che il vero male per l'uomo non è quello che soffre, ma quello che fa; e intenderlo per la cognizione d’un ordine universale, in cui tra la vera giustizia e la vera e finale felicità non ci può esser contrasto, per esser quest’ordine prestabilito dall’Essere infinitamente giusto, sapiente e potente; e il saper quindi che c’è un’armonia dove il ragionamento che si separa dalla fede non sa spesso far altro che accusare una contradizione2! Cieca e materiale credenza l’intendere che i piaceri temporali non sono veri beni; e intenderlo non solo per quella sproporzione col nostro desiderio di godere, e per quella instabilità e caducità che l’esperienza ci sforza, per dir così, a riconoscere volta per volta in ciascheduno di essi; ma per la
- ↑ Nolite putare quoniam veni solvere legem aut prophetas: non veni solvere, sed adimplere. Matth. V, 17.
- ↑ La contradizione c'è bensì in quest'accusa medesima, poichè è fondata su due supposizioni opposte tra di loro, e insieme necessarie all'assunto: cioè che l'ordine morale, relativamente all'uomo, si deva compire in questa vita, e che tutto per l'uomo finisca con la morte. Dico necessarie all'assunto; giacchè, se s'ammette che l'ordine morale non si compisca che al di là di questa vita, e che, per conseguenza, tutto non finisca con la morte, l'accusa cade da sè. Dico poi, supposizioni che, oltre all'essere totalmente arbitrarie, si contradicono. Infatti, il supporre un ordine compito in questa vita, è supporre che l'uomo la passi tutta, non solo nell'integrità dell'innocenza, ma nel perfetto esercizio della virtù; e d'altra parte, il supporre che per l'uomo tutto finisca con la morte, è supporre che quest'uomo, dotato com'è di mente e di volontà e, per una conseguenza necessaria, d'un amore intelligente e illimitato del proprio essere, ne sia spogliato in un dato momento: cioè riceva la più ineffabile pena, in uno stato d'innocenza e di virtù. Non si può negare più apertamente di quello che faccia questa seconda supposizione, l'ordine che è l'oggetto della prima. È poi, nello stesso tempo, la più dimessa confessione d'ignoranza, e la più altera pretensione di sapienza, il dire che non s'intende punto come l'ordine ci sia, e che s'intende benissimo come ci potrebb'essere.
tengono una dottrina, secondo la quale ogni approvazione e ogni biasimo sarebbe un giudizio assurdo per sè, e independentemente dalla qualità del caso? La libertà dell’arbitrio è da quell’uomo sottintesa ogni volta ch’egli esprime un giudizio morale: tant’è vero, che se, dopo aver qualificata di scelleratezza un’azione che senta raccontare, gli viene assicurato che l’autore di quella è un pazzo, muta subito il giudizio e il vocabolo, e la chiama disgrazia. Figuriamoci se gli potrebbe venir in mente che ci siano di quelli che, riguardo alla moralità, non ci mettono differenza.