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capitolo terzo | 441 |
Ora, se ciò che l’illustre autore ha nominalmente riunito sotto il titolo di filosofia morale, si risolve in fatto e si disperde in una moltiplicità eterogenea; se delle premesse diverse e opposte, e delle diverse e opposte conclusioni, intorno al bello, al giusto, al conveniente, sono tutt’altro che la scoperta di ciò che è veramente bello, giusto e conveniente; è superfluo l’aggiungere che da quelle non potrà mai resultare l’appagamento del core, asserito da lui come effetto d’una tale scoperta, e neppure, s’intende; quello della mente. Gioverà piuttosto l’osservare come il non essere alcuni di que’ tanti sistemi rimasto mai vittorioso, in una guerra così antica, e sempre viva o rinascente, venga dall’essere tutti ugualmente inetti a produrre quel duplice e corrispondente appagamento.
Ci sono in qualunque sistema di morale assolutamente distinta dalla teologia (sia per ignoranza involontaria della rivelazione, sia per volontaria esclusione di essa), due vizi innati e irremediabili: mancanza di bellezza, ossia di perfezione, e mancanza di motivi. Perchè una morale sia compita, deve riunire queste due condizioni al massimo grado; deve cioè non escludere, anzi proporre i sentimenti e l’azioni più belle, e dare dei motivi per preferirle. Ora, nessuno di questi sistemi può farlo: ognuno di essi è, per dir così, obbligato a scegliere; e tutto ciò che acquista da una parte, lo perde dall’altra. Se, per evitare la difficoltà, si ricorre a un sistema medio, questo tempererà i due difetti, ma conservando e l’uno e l’altro. Mi sia lecito d’entrare in un esame più esteso, per mettere in chiaro questa proposizione.
Quanto più un sistema di filosofia morale cerca d’adattarsi al sentimento universale, consacrando alcune massime che gli uomini hanno sempre lodate e ammirate, la preferenza data alle cose giuste sulle piacevoli, il sacrifizio di sè stesso, il dovere adempito e il bene fatto senza speranza di ricompensa nè di gloria, tanto più riesce inabile a dare, de’ suoi precetti e de’ suoi consigli, una ragione adequata, prevalente a ogni argomento e a ogni interesse contrario. Infatti, se noi esaminiamo quale sia in una bella azione la qualità che eccita l’ammirazione, e che le fa dare un tal titolo, vedremo non esser altro che la difficoltà (intendo, non la dif-
venta o pare necessario inventare de’ termini per nominare quelle classi, e per significare le loro relazioni. Questi vocaboli lontani dall’uso comune, ripetuti spesso dai filosofi per supplire a un periodo, e qualche volta a un trattato, e ripetuti per lo più con importanza, perchè rappresentano le idee cardinali del sistema; questi vocaboli soli, accumulati in uno scritto scherzevole, bastano a far ridere migliaia di lettori. Nulla serve di più a far ridere gli uomini d’una cosa, che il ricordar loro, che per altri uomini quella cosa è seria ed importante: poichè ad ognuno pare un segno evidente della propria superiorità l’esser divertito da ciò che occupa e domina le menti altrui. Lo spettatore del Mariage forcé, smascellandosi dalle risa agli argomenti di Pancrazio, sulla forma e sulla figura, si sentiva come sollevato al disopra di tutta la schiera de’ peripatetici. Ciò si vede ogni giorno, anche nelle relazioni ordinarie, e tra gli uomini d’ogni ceto, dove, quando si sappia che uno abbia un’affezione particolare a un’idea, gli altri si servono di quella per farsi beffe di lui, o contradicendolo, o secondandolo, ma sempre in maniera che quella sua affezione si mostri al massimo grado: e quest’usanza si può benissimo combinare con l’urbanità, la quale, separata dalla carità religiosa, è piuttosto le leggi della guerra, che un trattato di pace tra gli uomini. Dalle Nubi fino al Fausto i sistemi de’ filosofi sulla parte morale e intellettuale dell’uomo sono sempre, o al loro apparire o col tempo, caduti nelle mani di scrittori, comici; e il sentimento eccitato da questi è stato o gaio, o derisorio, o anche penoso, secondo che hanno più fatta risaltare la vanità de’ sistemi particolari, o la vanità terribile della mente umana; il che è dipenduto dalla malignità, dalla vivacità o dalla profondità del genio de’ diversi scrittori. Quando le parole tecniche d’un sistema sono state messe in burla da uomini d’ingegno, pochi ardiscono più adoprarle sul serio, e le questioni paiono finite; ma riprincipiano sotto altri nomi. C’è nell’uomo un desiderio di conoscere la propria natura, di trovare una ragione de’ suoi sentimenti, che non s’accheta con delle facezie