Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/446

440 osservazioni sulla morale cattolica

convincimento morale, se non nasce in tutti gli uomini? Potrà purtroppo essere tanto compito, da determinare un uomo a commettere un’azione pessima, con la persuasione d’operar bene; tanto costante, da impedire che nasca in lui il rimorso dopo averla commessa; si potrà estendere a nazioni intere; ma sarà un convincimento falso. E per chiarirlo tale, non sarà nemmeno necessario il testimonio della religione; basterà che cessino alcune circostanze, che si cambi un interesse, che s’abolisca una costumanza.

In quanto al principio della morale, le differenze non sono più tra i Mingreliani, i Peruviani e i Topinambi: è questione di tempi e di paesi colti, e di pochi uomini che pretendono di fare astrazione da ogni interesse, da ogni autorità, e da ogni abitudine per trovare il vero. Pochi, dico, riguardo al rimanente degli uomini; ma autori di scole che si possono chiamar molte, anche in paragone di ciò che accade in tant’altre scienze, nelle quali il dissenso non è, a gran pezzo, nè così umiliante, nè così dannoso. I nomi soli delle più universalmente celebri tra quelle scole, nomi che corrono alla mente d’ognuno, senza bisogno di citarli, bastano per dare un concetto pur troppo vasto d’una tale varietà, e dispensare da ogni prova. E s’osservi che non sono di quelle discussioni che hanno, per dir così, un moto progressivo, facendo ognuna delle parti un qualche passo verso un centro comune, e tornando così in aumento stabile della scienza ciò che, da principio, era stato opinione particolare d’una scola. Qui in vece i diversi sistemi cadono e risorgono, conservando sempre le loro differenze essenziali; si disputa, ripetendo ognuno sempre i suoi argomenti come perentori, e ripetendoli per quanto si sia dovuto vedere che non riescono ad abbattere quelli degli avversari: è il gran carattere delle questioni inconciliabili1.


    gli spettacoli dati da Pompeo, nel suo secondo consolato. E tra gli altri, parla delle cacce (venationes); giacché con questo nome chiamavano anche quelle che si facevano, o, per dir meglio, si facevano fare, non contro le bestie, ma tra bestie e schiavi, per vedere chi la vinceva e chi ci rimaneva. «Magnifiche,» dice, «nessuno lo nega; ma che piacere può trovare un uomo d’un gusto scelto, nel vedere un uomo, così inferiore di forze, sbranato da una robusta fiera, o una superba fiera trafitta da uno spiedo? Cose che, se pure si devono vedere, l’hai viste abbastanza: noi che l’abbiamo viste anche in quest’occasione, non ci abbiamo trovato nulla di novo.» Reliquae sunt venationes binae per dies quinque, magnificae, nemo negat. Sed quae potest homini esse polito delectatio, quum aut homo imbecillus a valentissima bestia laniatur, aut praeclara bestia venabulo transverberatur? quae tamen, si videnda sunt, saepe vidisti; neque nos qui haec spectavimus, quidquam novi vidimus (Epist. 126). Davvero, tra l’avidità d’una moltitudine per un tale spettacolo, e la sazietà degli uomini colti, che lo trovavano insipido, si può dubitare quale indichi un più abietto e crudele pervertimento del senso morale. L’altro è un fatto di Catone, quando s’era già condannato a morte, e nel momento che aveva finito di leggere, con tanto profitto, il Fedone. Avendo domandato a un servo, dove fosse la sua spada (che il figlio gli aveva portata via di nascosto), e non essendogli data risposta, aspettò un poco; e poi, dice Plutarco, «chiamò un’altra volta ad uno ad uno i suoi servi, e alzando maggiormente la voce, chiedea pur la spada; e ad uno di essi diede anche un pugno su la bocca con tanta forza, che ne riportò insanguinata la mano.» (Vita di Cat., trad. del Pompei). E s’ammazzava per non poter sopportare la superiorità (un po’ meno esorbitante davvero) che Cesare voleva arrogarsi sopra di lui! É però da credere che, passato quel primo bollore, il celebre stoico sarebbe stato disposto a riconoscere una qualche colpa in quel suo atto brutale; ma per la sola ragione, che il sapiente non va in collera: Numquam sapiens irascitur, come Cicerone fa dire a lui medesimo (pro L. Murena, 30).

  1. Di tempo in tempo escono poi fuori degli scrittori che mettono in ridicolo queste discussioni: cosa tanto più facile, quanto esse s’attaccano da una parte a sistemi particolari di scole diverse, e più o meno ristretta, e dall’altra ai sentimenti più intimi dell’uomo: due gran fonti di ridicolo per un gran numero d’uomini colti. Il frasario stesso de’ vari sistemi somministra agli scrittori burleschi de’ materiali da mettere in opera senza grande studio. In ogni sistema, a misura che si classificano più idee, di-