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capitolo terzo | 437 |
con lui, senza essere contro di lui; si può, dico, in parole, ma non in fatto.
Io so che questa distinzione o, per parlare più esattamente, quest’antitesi di filosofia morale e di teologia è ricevuta comunemente; che con essa si sciolgono tante difficoltà, e si conciliano tanti dispareri; ma senza cercare se essa medesima si concilii con la logica. So anche che altri uomini distinti l’hanno adottata, anzi ci hanno fondata sopra una parte de’ loro sistemi. Ne prenderò un esempio da un uomo e da un libro tutt’altro che volgari: Comme dans cet ouvrage je ne suis point théologien, mais écrivain politique, il pourroit y avoir des choses qui ne seroient entièrement vraies que dans une façon de penser humaine, n’ayant point été considerées dans le rapport avec des vérités plus sublimes1. Ma per essere del Montesquieu, questa frase non è meno priva di senso. Poichè, se queste cose saranno interamente vere in un modo di pensare umano, saranno vere in qualunque modo di pensare. Questa contradizione che si suppone possibile con delle verità più sublimi, o non esisterà, o, se esiste, farà che quelle cose non siano interamente vere. Se hanno una relazione con delle verità più sublimi, questa relazione è la prima cosa da esaminarsi; poichè qual è il criterio della verità che si cerca, se non la verità nota? O forse che le verità perdono la loro attitudine e il loro diritto, quando sono sublimi? Il sofisma sul quale è fondata questa protesta, come tant’altre simili, era già stato svelato, mezzo secolo prima, da un osservatore profondo e sottile del cuore umano, il Nicole. Esaminando il valore di quelle parole tanto frequentemente usate: «umanamente parlando,» egli dice: «Il semble, à nous entendre parler, qu’il y ait comme trois classes de sentimens, les uns justes, les autres injustes, et les autres humains; et trois classes de jugemens, les uns vrais, les autres faux, et les autres humains... Cependant il n’en est pas ainsi. Tout jugement est ou vrai ou faux, tout sentiment est ou juste ou injuste; et il faut nécessairement que ceux que nous appellons jugemens et sentimens humains se réduisent à l’une ou à l’autre de ces classes2.» Il Nicole ha poi egregiamente messo in chiaro il motivo per cui si ragiona in quella strana maniera. Si dice che una massima è umanamente vera, perchè non si può, come si vorrebbe, chiamarla vera semplicemente. Non le si attribuisce che una verità relativa; ma per dedurne delle conseguenze che non convengono se non alla verità assoluta. Quest’espressione significa dunque: io sento che la massima di cui ho bisogno, è opposta alla religione: contradire alla religione, non voglio; abbandonare la massima, nemmeno: non potendo farle concordare logicamente, mi servo d’un termine che lascia intatta la questione in astratto, per scioglierla in fatto secondo i miei desidèri. Perchè non si dice mai: secondo il sistema tolemaico, secondo la chimica antica? Perchè in queste cose nessuno si crea il bisogno d’ingannar sè medesimo.
Ma, senza arrogarsi di fare un giudizio sopra Montesquieu, si può credere che l’uso di queste espressioni, comune, in quel tempo, a tanti scrittori, non sia venuto da un errore d’intelletto.
La religione cattolica era allora in Francia sostenuta dalla forza. Ora per una legge, che durerà quanto il mondo lontana, la forza fa nascere l’astuzia per combatterla3; e quegli scrittori che desideravano abbattere