Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/437


capitolo primo 431

su di cui le probabilità operano la persuasione o la non credenza come se la Chiesa dicesse che la fede è una virtù dell’intelletto. È una virtù nell’uomo; e per vedere come sia tale, bisogna osservare la parte che hanno tutte le facoltà dell’uomo nel riceverla o nel rigettarla. Il Voltaire lascia fuori due elementi importantissimi: l’atto della volontà, che determina la mente all’esame, e la disposizione del core, che influisce tanto nell’ammettere o nel rigettare i motivi di credibilità, e quindi nel credere. In quanto al primo, le verità della fede sono in tante parti così opposte all’orgoglio e agli appetiti sensuali, che l’animo sente un certo timore e una certa avversione per esse, e cerca di distrarsene; tende insomma ad allontanarsi da quelle ricerche che lo condurrebbero a scoperte che non desidera. Ognuno può riconoscere in sè questa disposizione, riflettendo all’estrema attività della mente nell’andare in cerca d’oggetti diversi, per occupare l’attenzione, quando un’idea tormentosa se ne sia impadronita. La volontà di metter l’animo in uno stato piacevole influisce su queste operazioni in una maniera così manifesta, che quando ci si presenta un’idea che riconosciamo importante, ma sulla quale non ci piace di fermarci, ci accade spesso di dire a noi stessi: non ci voglio pensare; e lo diciamo, quantunque convinti che questo non pensarci ci potrà cagionar de’ guai nell’avvenire; tanto è allora in noi il desiderio di schivare un sentimento penoso nel momento presente. Questa mi pare una delle ragioni della voga che hanno avuta, e hanno in parte ancora, gli scritti che combattono la religione col ridicolo. Secondano una disposizione comune degli uomini, associando a idee gravi e importune una serie d’idee opposte e svaganti. Posta quest’inclinazione dell’animo, la volontà esercita un atto difficile di virtù, applicandolo all’esame delle verità religiose; e il solo determinarsi a un tale esame suppone non solo un’impressione ricevuta di probabilità, ma un timore santo de’ giudizi divini, e un amore di quelle verità, il quale superi o combatta almeno l’inclinazioni terrestri.

Che poi l’amore o l’avversione alle cose proposte da credersi influisca potentemente sulla maniera d’esaminarle, sull’ammetterne o sul rigettarne le prove, è una verità attestata dall’esperienza più comune. Si sparga una notizia in una città che abbia la disgrazia d’esser divisa in partiti; essa è creduta da alcuni, discreduta da altri, a norma degl’interessi e delle passioni. Il timore opera, al pari del desiderio, sulla credenza, portando talvolta a negar fede alle cose minacciate, e talvolta a prestargliene più di quello che si meritino; la qual cosa avviene spesso quando si presenti un mezzo di sfuggirle1. Quindi sono così comuni quell’espressioni:

  1. Mi pare che a torto J. J. Rousseau (Émile, liv. II) rida di coloro che ammirano il coraggio d’Alessandro nel bere la medicina presentatagli dal medico Filippo, dopo d’aver ricevuta una lettera di Parmenione, che l’avvertiva di guardarsi dal medico, come indotto, con doni e con promesse, da Dario a levargli la vita. Racconta che, essendo questa storia detta su da un ragazzo, a un desinare di molte persone, e i più biasimando quell’azione come temeraria, altri ammirandola invece come coraggiosa, lui aveva detto che se ci fosse entrata anche un’ombra di coraggio, essa non sarebbe stata, al parer suo, altro che una stravaganza. Concordando tutti ch’era una stravaganza, egli stava per riscaldarsi e per rispondere, quando una donna, che gli era vicina, gli disse all’orecchio:Tais-toi, Jean-Jacques; ils ne t’entendront pas. Que’ signori non ebbero dunque la spiegazione: Rousseau la dà ai lettori, ma con quel tono sdegnoso e enfatico, che prende troppo spesso, principalmente in quel libro, dove alle volte pare che voglia persuadere i lettori, che non ne crede alcuno degno di sentire la verità, nè capace d’intenderla, e ostenta di voler far indovinare quello che poteva esser detto bonamente e amichevolmente. Ecco le sue parole: Quelques lecteurs, mécontents du tais.toi, Jean.Jacques, demanderont, je le prévois, ce que je trouve enfin de si beau dans l’action d’Alexandre. Infortunés! s’il faut vous le dire, comment le comprendrez-vous?