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430 | osservazioni sulla morale cattolica |
guenze necessarie, che non comprende, o di rinunziare ai principi. Avendo riconosciuto che la Religione Cristiana è rivelata da Dio, non può più mettere in dubbio alcuna parte della rivelazione; il dubbio sarebbe non solo irreligioso, ma assurdo. Supponendo, per un momento, che l’unità della fede non fosse espressa nelle Scritture, la ragione che ha ricevuta la fede deve adottarne l’unità: non ha più bisogno per questo di sottomettersi alla credenza; ci deve arrivare per una necessità logica.
La fede sta nell’assentimento dato alle cose rivelate, come rivelate da Dio. Suppongo che l’autore scrivendo questa parola fede, le ha applicata quest’idea, perchè è impossibile applicargliene un’altra. Ora, repugna alla ragione che Dio riveli cose contrarie tra di loro; se la verità è una, la fede dev’esserlo ugualmente, perchè sia fondata sulla verità. La connessione di quest’idee è chiaramente accennata nel testo già citato in parte: Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Dall’unità di Dio resulta necessariamente l’unità della fede, e da questa l’unità del culto essenziale. Bacone mostrò di tenere questa per una verità fondamentale, dove disse: Tra gli attributi del vero Dio si pone che è un Dio geloso onde il suo culto non soffre nè mescolanza, nè compagnia1.
L’idee di fede e di pluralità sono così contradittorie, che il linguaggio stesso pare che repugni a significare la loro unione; poichè si dirà bene le diverse religioni, opinioni, credenze religiose, ma non già le diverse fedi. Per religione s’intende un corpo di tradizioni, di precetti, di riti; e si vede assai bene come ce ne possa essere più d’una. Così nelle opinioni si considera piuttosto la persuasione di chi crede, che la verità delle cose credute. Ma per fede s’intende persuasione fondata sulla rivelazione divina; e benchè popoli di vario culto credano che l’opinione loro abbia questo fondamento, il linguaggio ricusa l’espressione che significherebbe la coesistenza di rivelazioni diverse, perchè la ragione la riconosce impossibile. Molti di diversa religione possono credere di posseder la fede; ma un uomo non può ammettere che questi molti la possiedano. Se questa fosse una sofisticheria grammaticale, vaglia per tale, bastando l’argomento semplicissimo col quale s’è provato che l’unità della fede non suppone altro assoggettamento della ragione, che alle leggi del raziocinio.
Non voglio certamente dire con ciò, che la fede stessa consista in una semplice persuasione della mente: essa è anche un’adesione dell’animo; e perciò dalla Chiesa è chiamata virtù. Questa qualità le è contrastata dal Voltaire2, in un breve dialogo dove la bassa e iraconda scurrilità del titolo stesso indica tutt’altro che quella tranquillità d’animo con cui si devono pure esaminare le questioni filosofiche. Un honnéte homme sostiene, contro un excrément de théologie che la fede non è punto una virtù, con questo argomento: Est.ce vertu de croire ? ou ce que tu crois te semble vrai, et en ce cas il n’y a nul mérite à le croire; ou il te semble faux, et alors il est impossible que tu le croyes.
È difficile d’osservare più superficialmente di quello che abbia qui fatto il Voltaire. Per escludere dalla fede ogni cooperazione della volontà, egli non considera nel credere se non l’operazione della mente, che riconosce vera o non vera una cosa; riguarda quest’operazione come necessitata dalle prove, non ammettendo altro a determinarla, che le prove stesse; considera insomma la mente come un istrumento, per così dire, passivo,