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non al solo, ma a un essenzialissimo merito del suo Vocabolario, cioè l’essere il più fiorentino di tutti, e d’accennarle il perchè mi pare che produrrebbe ancora più pienamente e sicuramente l’effetto che si deve volere, se fosse affatto fiorentino. Per qual ragione infatti il suo lavoro potrà esserci, e ci sarà, spero, tanto utile, se non perchè ci somministra tanti e tanti mezzi di dir tutti in una sola maniera ciò che diciamo tutti, ma in tante maniere diverse? E per qual ragione ha potuto somministrarci tutti questi mezzi d’unità, se non perché l’autore è andato a prenderli da una lingua viva e vera, dove ci sono naturalmente e necessariamente? Ma quando, per esempio, trovo il vocabolo Panna accompagnato da quattro altre denominazioni, non posso a meno di non dire tra me, come lo dico a Lei con una sincerità ardita, perché viene dalla stima: cosa ci giova, in questo caso, d’avere un’abile e esperta guida, se ci conduce a un crocicchio, e ci dice: prendete per dove vi piace? Cosa ci giova in questo caso, che ci sia chi ha riconosciuto con ottimo giudizio, e acquistato con nobile fatica il mezzo di sostituire l’unità alla deplorabile nostra moltiplicità, se sostituisce una moltiplicità a un’altra?

Voglio forse dire con questo, che nelle lingue non ci siano de’ sinonimi propriamente detti? o che un vocabolario non deva registrarli? Tutt’altro. I sinonimi sono un inconveniente quasi inevitabile delle lingue, e un vocabolario è il raccoglitore, e per dir così, il relatore de’ fatti d’una lingua; e deve perciò ammettere anche quelli che si può ragionevolmente desiderare che si cambino, come è appunto il fatto d’esserci più d’un vocabolo per significare una medesima cosa. Ma, se l’aver dei sinonimi è un inconveniente inevitabile delle lingue, è anche un inconveniente rarissimo: intendo sempre delle lingue davvero. Infatti, un piccol numero di sinonimi è compatibile con una piena e continua comunione di linguaggio; giacchè, da una parte, non è difficile che molti, o anche tutti, conoscano alcune poche coppie di parole aventi un medesimo significato; dall’altra, qualche parola sconosciuta a chi la sente insieme con molte altre conosciute, o si fa intendere per l’aiuto del contesto, o non può interrompere, se non momentaneamente, quella comunione. Se in vece i sinonimi d’una lingua fossero in gran numero; o bisognerebbe che coloro i quali la possedono e l’adoprano, conoscessero il doppio, o che so io? de’ vocaboli necessari alle loro relazioni reciproche, o non riuscirebbero a intendersi. Delle cagioni particolari poi fanno spesso, che una di quelle locuzioni sinonime prevalga, in più o meno tempo, e rimanga sola; mentre altre cagioni particolari fanno che nascano de’ novi sinonimi: dimanierachè ce n’è sempre alcuni, ma sempre alcuni solamente. L’uso vivente di Firenze non ha cinque denominazioni per significare la panna: je ne le sais pas, mais je l’affirme, come diceva quello. Lo so dell’uso di Milano, l’affermo di quello di Firenze e di tutte l’altre città d’Italia, perchè una tale moltiplicità non è compatibile col parlar che si fa della cosa continuamente tra persone d’ogni classe. Non dico da persone d’ogni classe: chè questo accade di molte anzi di moltissime cose, non solo in Italia, ma nel mondo. Dico tra persone d’ogni classe, cioè in una società effettiva e continua, che è ciò che fa esser le lingue. E oso concludere che se, in questo caso e in qualche altro, Ella si fosse ristretta al solo uso di Firenze, e s’intende l’uso attuale e vivente, cl avrebbe, anche in que’ casi, come nella più parte, data la cosa di cui abbiamo bisogno: un vocabolo da prendere, e non de’ vocaboli tra i quali scegliere. Che questa facoltà di scegliere è appunto la nostra miseria: è la conseguenza del non avere, come la facoltà di congetturare è la conseguenza del non sapere. Ci sono bensì di quelli che chiamano libertà il non avere un vocabolo certo, esclusivamente proprio, e quindi obbligatorio, per significare una cosa; e chiamano ric-