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sulla lingua italiana | 415 |
manca alla lingua comune, come la chiamate; perchè dovremo cercare altrove codesta lingua comune, che siamo sicuri di trovar là? Osservate, di grazia, che, volendo cercarla altrove, bisognerebbe cercarla in tutta l’Italia, e come? separando, col confronto, da tanti e tanti particolari ciò che è comune. Senza esaminare se sia un’operazione possibile, basta che la confessiate difficile e lunga; e che riconosciate, per conseguenza, che sarebbe pazzia l’intraprenderla, o il tentarla, quando ci sia i. mezzo di risparmiarla. E il mezzo è di concluder tutto a Firenze. Là non c’è altro da fare, che prendere i vocaboli di quella lingua, senza esaminare se siano o particolari ad essa, o comuni a tutta l’Italia; perchè anderà bene in qualunque maniera. O saranno comuni, e cosa si vuol di più? O saranno particolari, e cosa si può voler di meglio ? Saranno quello che ci vuole, secondo voi altri, per far che la lingua italiana abbia ciò che, per essere una lingua come l’intende il consenso universale degli uomini, dovrebbe avere.
« Direte che, tra i vocaboli particolari a Firenze, ce ne saranno anche, anzi ce ne sono sicuramente di quelli che significano cose particolari a Firenze; e che, con questo espediente di prender tutto, si dovrà. per conseguenza, prender de’ vocaboli, de’ quali noi altri italiani non fiorentini non avremo forse mai bisogno di servirci.
« Bellissimo: li prenderemo, e non ce ne serviremo, fuorchè nel caso non impossibile, che occorra anche a noi di nominar quelle cose particolari a Firenze. Vi par egli che sia un grand’inconveniente l’acquistare un po’ di superfluo (anche supponendolo rigorosamente tale), quando s’acquista tanto di necessario? che convenga di rifiutare il mezzo sicuro, e facile nello stesso tempo, di raccogliere tutt’in una volta e i vocaboli usati uniformemente in tutta l’Italia, e i vocaboli con cui dire uniformemente ciò che in tutta l’Italia si dice in dieci, in venti, in trenta maniere, perchè, adoperando un tal mezzo, si dovranno raccogliere anche alcuni vocaboli inutili o poco utili a una gran parte dell’Italia? La lingua italiana deve, secondo voi altri, resultare da due non so che, uno comune, l’altro particolare; non avevo io ragione di dire che da Firenze, anche secondo voi altri, si deve prender la lingua, poichè c’è e l’uno è l’altro? E avreste ragione di non volere, solo perchè ci verrà dietro un qualcosa di più?
« Ho detto: anche secondo voi altri; perchè non è certamente questa la vera e bona ragione; no certamente ne potrebbe derivare una tale dallo strano concetto d’una lingua a cui manchi una sua parte essenziale. La ragion vera e bona è che, quando non si ha una lingua, e la si vuole, bisogna prenderla qual’è, per adoprarne, s’intende, quel tanto che viene in taglio, come si fa di tutte le lingue; e che una lingua bisogna prenderla da un luogo, perchè una lingua è in un luogo; è, di sua natura, una cosa unita e continua, che può dilatarsi, ma purchè sia; può esser acquistata da chi non l’ha, ma purchè ci siano quelli che l’hanno naturalmente e immediatamente. E l’averla così nasce dal trovarsi, per effetto della convivenza, in quell’universalità di relazioni che produce un’universalità di vocaboli.
« Aggiungerete senza dubbio (anzi è l’obiezione che avrei dovuta prevedere la prima) aggiungerete che molti di questi vocaboli da prendersi da Firenze, riusciranno novi a una gran parte degl’Italiani. Habetis confitentem reum. Saranno novi, lo so pur troppo; e lo so tanto, che sono io che vi prego d’andare a far conoscenza con essi nel Vocabolario domestico del bravo signor Carena. Ma perchè codesta avesse forza d’obiezione, bisognerebbe che venissero per prendere il posto d’altri vocaboli significanti il medesimo, e noti uniformemente a quella gran parte d’Ita-