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414 | lettera |
casi di cui avete parlato: è appunto il qualcosa che intendevamo di concedervi. Ma ciò che è comune di fatto a tutta l’Italia, quella gran massa di vocaboli che sono conosciuti, riconosciuti, usati dall’Alpi al Lilibeo, si dovrà egli andarli a cercare a Firenze?
« Senza dubbio, rispondo: è una conseguenza inevitabile della vostra forzata concessione. Bisogna andarli a cercare a Firenze, e poichè ci sono, e perchè, essendoci, sarebbe una vera pazzia andare a cercarli altrove. E per dimostrar che ci sono, basterà rammentarvi un fatto che nessuno certamente ha mai negato, ma che molte volte non si mette in conto, si ragiona come se non fosse; cioè che Firenze è una città d’Italia. Segue da ciò, che, nè un complesso di vocaboli, nè un vocabolo qualunque si potrà chiamar comune (volendo serbare ai termini il loro valore, come è necessario per ragionar rettamente), se non si trova anche in Firenze. Chiamando lingua italiana ciò che in fatto di lingua è comune a tutta l’Italia, intendevate forse di dire: a tutta l’Italia, esclusa Firenze? Non credo. Siccome però non si tratta di prenderci in parola gli uni con gli altri, ma di vedere cosa vogliamo in ultimo, siete sempre a tempo a dire che l’intendete così. Ma allora, dovrete rinunciare a quella magnifica e imponente denominazione di comune, e a tutta la forza che vi pare di cavarne; dovrete e cambiare il termine, e inventare una nova teoria. E siccome una teoria non può esser fondata che su de’ fatti, dovrete far vedere come esista di fatto una unità di linguaggio tra le varie parti d’Italia, meno una; come Torino e Napoli, Venezia e Genova, Milano e Bologna, Roma e Modena, Bergamo e Palermo, siano riuscite ad accordarsi nel dir tante cose nella stessa maniera, e Firenze sola rompa questa felice uniformità; come questa città, dalla quale acconsentite che si prenda ciò che, riguardo all’unità, manca a tutte l’altre, sia poi priva di ciò che tutte l’altre hanno. Ma non credo che, neppur ora, vi sentiate di voler dire una cosa simile. È vero, ripeto, che, per quanto sia strana, è sottintesa ogni momento, in una quantità di ragionamenti. Ma è una di quelle cose, che si può bensì sottintenderle, e ragionare in conseguenza; sostenerle o accettarle, quando si siano vedute in viso, non si può.
« È, dico, sottintesa tutte le volte che si oppone l’Italia intera a Firenze, e si domanda per qual ragione, con che diritto, una parte dovrà prevalere a un tutto, una città a una nazione, l’idioma d’alcuni alla lingua di tutti. Domanda, alla quale è impossibile di rispondere categoricamente, ma alla quale, per ciò appunto, è facilissimo rispondere negando quello che c’è sottinteso e supposto, cioè che Firenze possa trovarsi in opposizione con l’Italia intera. Infatti, o si tratta di casi in cui il vocabolo sia, per qualunque cagione, comune a tutta l’Italia, e quindi (meno di non dichiarare espressamente che Firenze, in materia di lingua! non fa parte dell’Italia) comune anche a Firenze; e allora, come può nascere la questione di prevalenza in ciò che è identico? O si tratta di casi in cui l’Italia abbia diversi vocaboli per significare una medesima cosa; e allora ciò che si vuole opporre a Firenze non è un tutto, ma una quantità di cose eterogenee; non è una lingua, sono molte favelle; non è una nazione intera; e, se lo fosse, non sarebbe una nazione labii unius et sermonum eorumdem, che è la sola circostanza che deva contare nella questione; allora non è il caso di sdegnarsi che si voglia far prevalere una città all’Italia, ma di riconoscere ché l’Italia ha proprio bisogno d’una città che prevalga.
« Rimane dunque fermo che ciò che è comune a tutta l’Italia, in fatto di lingua, deve trovarsi in Firenze, come, del resto, in Venezia, in Roma, in Torino, in Parma, in Brescia, in Napoli, e via discorrendo. Ora, poichè a Firenze volete pure che si deva ricorrere per cercare ciò che