Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/415

SULLA LINGUA ITALIANA


LETTERA AL SIGNOR CAVALIERE CONSIGLIERE GIACINTO CARENA


membro dell’accademia delle scienze di torino
corrispondente dell’accademia della crusca, ecc.





Chiarissimo Signore,


Ho tardato a ringraziarla della gentilissima lettera con la quale m’ha fatto l’onore d’annunziarmi un aspettatissimo libro, e un inaspettato e prezioso dono, per potere aggiungere a questi ringraziamenti particolari quelli che le devo in comune con la più parte degl’Italiani. Dicendo, con troppa modestia, d’aver voluto giovare ai giovani studiosi della nostra lingua, Lei mi fa tornar giovine; perchè il suo libro m’insegna appunto ciò che ho gran bisogno e gran desiderio d’imparare, dandomi tutt’in una volta una quantità di quei vocaboli che andavo accattando a spizzico, e all’occasione, da quelli che li possedono per benefizio di nascita, e in casa de’ quali Lei è andata, con animosa e sapiente pazienza, a farne raccolta.

Ma che temerario le parrò io, se nell’atto di protestarmi suo discepolo, come fo di core e in coscienza, oso a questi ringraziamenti aggiungere un’osservazione? e un’osservazione non richiesta? e che, essendo legata con le nostre eterne questioni sulla lingua, non potrà nemmeno avere il merito della brevità, o piuttosto dovrà essere indiscreta anche per la lungaggine? La mia scusa è nel dovere stesso che ho di ringraziarla. Non mi pare che adempirei convenientemente questo dovere, se le esprimessi la mia riconoscenza in termini generali e insignificanti; se dicendole che riguardo il suo lavoro come un gran benefizio, in parte promesso, in parte già fatto alla nostra Italia, non le rendessi qualche ragione di questo sentimento. Ma non potrei far ciò senza accennare insieme il perchè mi pare che il benefizio poteva, e per mezzo di semplici omissioni, essere ancora maggiore. E quindi ciò che mi rende ardito a sottometterle con rispettosa libertà questa mia osservazione, è lo sperare che, quand’anche non le paresse punto fondata, vorrà pure accoglierla come parte d’un sincerissimo omaggio.

Essa cade su quelle locuzioni dell’utilissimo suo Vocabolario domestico, che non sono dell’uso vivente di Firenze. E con questo le ho implicitamente confessato ch’io sono in quella scomunicata, derisa, compatita opinione, che la lingua italiana è in Firenze, come la lingua latina era in Roma, come la francese è in Parigi; non perchè quella fosse, nè questa sia ristretta a una sola città: tutt’altro; e quali lingue furono mai più