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finir d’esprimere. «Tutte queste idee....» avevate intonato e in fatti, tante idee, tanti esseri eterni, necessari, immutabili, aventi cioè gli attributi che non possono convenire se non a un Essere solo, non è certamente un punto dove l’intelletto si possa acquietare. E nello stesso tempo, come negare all’idee questi attributi? E non v’è, dicerto, uscito dalla mente neppure quell’altro fatto altrettanto innegabile, e altrettanto poco soddisfacente, dell’esser tante di queste idee, comprese in una, che pure riman semplice, e che potete fare entrare anch’essa, in un’altra più estesa, più complessa; come potete da una di quelle farne uscire dell’altre; moltiplicando, per dir così, e diminuendo, a piacer vostro, questi esseri singolari, senza potere nè distruggerne, nè produrne uno. Ora, quando il tornare indietro è impossibile, e il fermarsi insopportabile, non c’è altro ripiego che d’andare avanti. Non è poi un così tristo ripiego. È con l’andare avanti, che si passa dalla moltiplicità all’unità, nella quale sola l’intelletto può acquietersi fondatamente e stabilmente. E è col riprender le mosse dall’unità (giacchè non si tratta d’una quiete oziosa), che s’arriva, per quanto è concesso in questa vita mortale, a discerner l’ordine nella moltiplicità reale delle cose contingenti e create. Del resto, la scelta non è tra l’adottare o il non adottare una filosofia qualunque, ma tra l’adottarne una piuttosto che un’altra, o che dell’altre. Dacchè questa benedetta filosofia è comparsa nel mondo, non è possibile a quella parte degli -uomini, che chiamiamo colta, il rimanerne affatto independente. V’entra in casa senza essere invitata. Non solo s’accettano a credenza e (n’abbiam visto un saggio) tante deduzioni di questa o di quella filosofia, che diventano poi norme per la pratica; ma s’accettano (in astrattissimo, s’intende) le filosofie intere. Chè, per quanto disprezzo si professi per quelle ragioni ultime bone a nulla, non può essere che i loro oggetti non si presentino alla mente, almeno come curiosità. La cognizione è una cosa di tanto uso, che, anche agli uomini più attaccati al sodo, e nemici delle questioni oziose, salta una volta o l’altra, il grillo di saper donde venga, e che fondamento abbia. E siccome le diverse filosofie fanno sempre girar nell’aria delle risposte a queste domande, così se n’afferra, o qua o là, ora qua, ora là, una che vada a genio. Vi sarà certamente accaduto di sentir qualcheduno dire: si diverta chi vuole a perdersi negli spazi immaginari della filosofia: per me non c’è altro di certo, se non quello che si vede, e quello che si tacca. È, mi pare, una filosofia, che ha il suo riverito nome. Un altro dirà in vece povera filosofia che si condanna a cercare quello che non si può trovare! il dubbio è la sola scienza dell’uomo. Che non è un’altra filosofia questa, e abbastanza conosciuta? Un altro dirà all’opposto: l’uomo crede certe cose inevitabilmente, irrepugnabilmente: che serve cercarne le ragioni? Il buon senso m’insegna di restringere l’osservazione e il ragionamento alle cose pratiche, dove il risultato può essere o un sì o un no. E non è anche questa un’applicazione d’una filosofia, o di due? Un altro dirà che è un’impresa pazza il cercare una ragione nelle cose, quando è chiaro che sono governate da un cieca fatalità. E anche questa, volendogli pur dare un nome, non si può chiamarla altro che filosofia; giacchè, quantunque non sia altro che uno strascico di religioni assurde, religione non lo è più, nè par che lo possa ridiventare. Si bandisce la filosofia con dei decreti filosofici; si pretende d’esser padroni di sè, perchè non si fa professione d’appartenere nominativamente a una scola; e s’è.... L’ho a dire?
Poichè siamo qui tra di noi.