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per altri riguardi, se non perchè in essa è contemplata la ragione universale del valore dell’idee, e da essa dipende che una questione qualunque possa avere un oggetto vero, e essere, per conseguenza, capace d’una vera soluzione; giacchè, come si potrebbe arrivare a delle verità, se queste verità non fossero? È la questione prima e perpetua della filosofia con le filosofie o, per parlare esattamente, con que’ tanti sistemi che, affatto opposti in apparenza, sono d’accordo nel tentare in diverse maniere lo stesso impossibile, cioè di far nascere l’idea dalla mente che la contempla; che è quanto dire, la luce dall’occhio, il mezzo necessario all’operazione, dall’operazione medesima. Sistemi, per conseguenza, i seguaci de’ quali, anzi gli autori medesimi, quando vadano un po’ avanti nell’applicazione, finiscono col fare della verità una cosa contingente e relativa, negandole esplicitamente i suoi attributi essenziali d’universalità, d’eternità, di necessità; perchè in effetto tali attributi non possono convenire a una cosa che sia stata prodotta. Ma qui mi sovvengono alcune parole sulla grande, o piuttosto incomparabile importanza d’una tale questione, che si trovano in questo stesso volume a cui v’ho già rimesso. E sapete? farò forse meglio a leggervele, che a dirvene su delle mie. L’autore, chiedendo scusa al lettore d’essersi trattenuto lungamente su quella questione, e chiedendogli insieme il permesso di trattenercisi ancora (che garbo ci vuole con questo svogliato, schizzinoso e impaziente, che si chiama il lettore!) dice così:

«Se dinanzi ai tribunali civili si presentano delle scritture più voluminose di questo stesso trattato, a difesa d’un po’ di roba materiale, avente un pregio vilissimo in paragone della sapienza; perchè si disdegnerà ciò che noi troviam necessario di scrivere in una causa, dove difendesi nulla meno, che tutte le ricchezze intellettive e morali del genere umano? Le qual ricchezze pendono veramente tutte da un punto solo, dal sapersi cioè, se v’abbia o no una verità eterna, independente nell’esser suo dall’universo materiale, e di pari dall’uomo, e da ogn’altra limitata, per quanto eccellente natura.

«Tutto sta dunque, tutto si riduce in provare una cosa, che la verità non è un modo di qualche ente limitato; e se fosse, avrebbe perduto ogni pregio; tutto sta in provare ben fermo, come dicevo, che v’hanno degli esseri intelligibili, ai quali il nostro spirito è unito indivisamente, e pei quali solo può conoscere, e conosce tutto che ciò conosce.

«A provare una verità sì alta, qualunque parole non sarebbero soverchie giammai: perocchè ad essa tutte l’altre s’attengono....» E quelle ricchezze intellettive e morali, l’uomo può spenderle bene, anche senza conoscere, nè cercare l’inesuasta miniera donde gli vengono: può, dico, applicar rettamente l’ultime ragioni, per ciò solo che le sottintenda fermamente: senonchè l’applicazioni, in questo caso sono più circoscritte, e quelle ricchezze non possono essere accresciute di molto. Ma quando siano venute in campo delle dottrine, che, sconoscendo l’origine di quelle ricchezze, ne mettano in dubbio il valore, l’uso di esse ne è necessariamente turbato e sconvolto, in proporzione del credito che tali dottrine riescono ad acquistare. Dove le verità, che allignavano spontaneamente, siano state sterpate dall’errore, ci vuol la scienza a ripiantarle.

secondo.

In somma, bisognerà studiarla, questa filosofia.

primo.

Fate di meno ora, se potete, con quelle poche curiosità che vi sono venute. Non fosse altro che l’ultima, quella che non v’ho nemmeno lasciata