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pagna mai dall’intenzione veramente retta, anzi ne fa parte. A tale sapienza l’uomo è stato sollevato dalla rivelazione! E qual differenza da questo rozzo cristiano a quel Bruto che, al termine forzato della sua attività, esclama: O virtù, tu non sei che un nome vano! Certo, se la virtù ha per condizione l’indovinare tutti gli effetti dell’azioni umane, è un nome vano quanto la cabala. Certo, è un nome vano quella virtù che, deliberando se sia ben fatto il buttarsi addosso a un uomo, in figura d’amici, con de’ memoriali in una mano, e de’ pugnali sotto la toga, per levarlo dal mondo, non ascolta quel no eterno, risoluto, sonoro, che la coscienza pronunzia, anche non interrogata; ma decide in vece, che quell’azione è non solo lecita, ma santa, perchè è il mezzo di riavere de’ veri consoli, de’ veri tribuni, de’ veri comizi, un vero senato. E come gli hanno avuti! Certo, la virtù è un nome vano, se la sua verità dipende dall’esito della battaglia di Filippi. Qual distanza, dico, dall’uomo che distrugge con una sentenza la virtù, idolo di tutta la sua vita, perchè una tal virtù era infatti un idolo, e il rozzo cristiano, il quale, non riuscendogli un bene che s’era proposto, sa che il bene non è perduto, ma convertito in un meglio! E appunto perchè le moltitudini cristiane intendono così bene che la giustizia è essenzialmente utile, sono anche più lontane dall’immaginarsi che sia l’utilità medesima. Solo alcuni uomini anche dopo tanti secoli di cristianesimo, prendendo le mosse, non da verità intuite, ma da supposizioni sistematiche, e avvezzandosi così a figurarsi di vedere ciò che non è, hanno potuto, fino a un certo segno, non veder ciò che è, e che risplende al loro intelletto, come a quello di tutti gli uomini. Dico, fino a un certo segno; perchè quell’idea possono bensì combatterla nel loro intelletto, ma con patto che ci rimanga; e le parole «giusto» e «dovere» si può sfidarli a cancellarle, non dico dal vocabolario comune, ma dal loro. E non è questa stessa una manifestazione solenne del potere della filosofia sui fatti umani? Mettere degli uomini, e uomini della parte più istrutta dell’umanità, cioè di quella che, o direttamente o indirettamente, o col comando o con la persuasione, finisce a governare il rimanente, metterli, dico, in contradizione, non solo col sentimento generale, ma col loro proprio! E intorno a che? intorno alla regola preponderante e suprema delle deliberazioni umane: niente meno. E aggiungete, potere una filosofia esercitar questo impero, anche dopo essere stata dichiarata morta, e quando è creduta sepolta. Ma, cosa singolare! Se ci fosse qui a sentire qualcheduno di quelli che accennavate dianzi, di quelli ai quali pare una bizzarria dello spirito umano, una cosa da gente che viva nelle nuvole, il poter prendersela calda per delle quistioni filosofiche, in tempi di così grandi e pressanti vicende; sapete cosa direbbe ora? Direbbe: che novità vecchie viene a raccontare costui? Chi non lo sa, e chi non lo ripete, che il movente principale degli avvenimenti dell’epoca presente, è stata la filosofia? È la gran lode che le danno gli uni, il gran biasimo che le danno gli altri, val a dire il fatto che riconoscono tutti. Bisogna dire che viva nelle nuvole costui. — E il poter trovarsi insieme in una mente due giudizi così repugnanti, nasce dal dare al vocabolo «filosofia» due significati diversi, e tutt’e due tronchi e confusi. La filosofia, come, dietro l’indicazioni di qualche autore vecchio e bono, fu definita, con una formola precisa, da quello che presto chiameremo il nostro, è la scienza delle ragioni ultime. Definizione, come si vede subito, intera veramente e distinta, e che raccoglie e unifica le speciali applicazioni che il discorso comune fa di quel vocabolo. Infatti, l’assegnare a un concetto qualunque una ragione più o meno remota e non ancora osservata, e che si manifesta come applicabile ad altri concetti, de’ quali viene così a formare una classe, non è egli quel modo d’operare della mente, che si chiama da tutti filosofico? E non è