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l’altre istituzioni il mezzo sicuro per arrivarci, adoprò il potere che la singolarità de’ tempi gli aveva messo in mano, a rimover l’ostacolo, e ad effettuare il mezzo. Ma sulle istituzioni da distruggersi, e su quelle da sostituirsi, non è così facile che tutti, nè che moltissimi vadano d’accordo, principalmente quando queste devano esser miracolose; sicchè, in ultimo, chi metteva impedimento a quello stato perfetto erano degli uomini. Questi uomini però erano pochi, in paragone dell’umanità, alla quale si doveva procurare un bene così supremo e, per sè, così facile a realizzarsi; erano perversi, poichè s’opponevano a questo bene: bisognava assolutamente levarli di mezzo, perchè la natura potesse riprendere il suo benefico impero, e la virtù e la felicità regnare sulla terra senza contrasto. Ecco ciò che potè far perder l’orrore della carnificina a un uomo, il quale, nulla indica che n’avesse l’abbominevole genio che si manifestò in tanti de’ suoi satelliti e de’ suoi rivali. Che, nel progresso di quelle feroci vicende, le nemicizie divenute furibonde, e le paure crescenti in proporzione delle nemicizie, concorressero a diminuire in lui quell’orrore, chi ne può dubitare? Le passioni e gl’interessi personali riescono troppo spesso a attaccarsi, più o meno, anche agl’intenti più retti e ragionevoli per ogni verso: pensiamo poi a uno di quella sorte! Ma il movente primitivo e primario della funesta e sventurata attività di quell’uomo, non si può trovarlo, che in una fede cieca a un arbitrario placito filosofico. E quel Rousseau medesimo, così sdegnoso, in parole, d’assoggettarsi alla filosofia che dominava al suo tempo, e il quale pretendeva di ricavare i suoi precetti pratici dalla natura, senza nessuno di mezzo, sarebbe una cosa curiosa l’osservare di dove gli abbia ricavati davvero in gran parte, e i più straordinari e impreveduti. Quello, per esempio, che al fanciullo non si deva propor nulla da credere, che non possa verificar da sè, e finchè non abbia finiti i dieci anni, non parlargli neppur di Dio, come mai sarebbe venuto in mente a un uomo di questo mondo, se prima non fosse stato insegnato che tutte le cognizioni e, per conseguenza, tutte le verità nascono dalle sensazioni? Ammesso ciò più o meno avvertitamente, un tal precetto non era altro che il mezzo naturale di schivare a quell’età inesperta i pericoli dell’inganno, e di lasciarla arrivare alla verità per la strada giusta. Non era originalità, era coerenza. È vero che, per essere affatto coerente, si sarebbe dovuto estendere l’applicazione a tutte l’età, a tutti i casi, a tutto il commercio d’idee tra gli uomini, e dire che dalla parola non si può ricavare altro di vero, che il suono materiale; giacchè è tutto ciò che la sensazione ne possa ricavare. Ma si sa che l’errore non vive, quel tanto che può vivere, se non a forza di moderazione, di saviezza, di sapersi guardare dall’insidie della logica, che, con quel suo andar diritto (traditora!), conduce all’assurdo; e per vendicarsi di non essere stata consultata quando si trattava d’esaminare il supposto principio prima d’accettarlo, entra per forza a cavar le conseguenze, e si diverte a farne uscire le più alte cose del mondo. E il Rousseau, per quanto fosse un capo ardito, aveva però il giudizio necessario per non abbandonarsi affatto alla logica, in un affare avviato senza di essa. Bastava bene, anche per lui, l’essersi lasciato strascinare fin là. Ma vedete di novo! Questa volta fu per andare in un passato più lontano, che sono uscito di strada. Non mi mettete in conto quest’esempio, e permettetemi di citarne un altro dell’epoca in cui avevo promesso di restringermi. La petite morale tue la grande, disse il Mirabeau; e lo disse, non già per buttar là una sentenza speculativa, ma come una norma e una giustificazione applicabile ai gran fatti pubblici ne’ quali fu anche lui pars magna. E chi non vede la forza pratica d’una massima di questa sorte? Certo, per i tristi di mestiere è superflua, o di poco uso; ma questi non potrebbero far gran cosa, se dovessero far