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Tertulliano, dell’anima umana. Sicuro che, dopo aver percorso liberamente e cautamente (che in fondo è lo stesso) il campo dell’osservazione e del ragionamento, si trova, per dir così, accostata alla fede, e vede negl’insegnamenti, e ne’ misteri medesimi di questa il compimento e il perfezionamento de’ suoi resultati razionali. Non che la ragione potesse mai arrivar da sè a conoscer que’ misteri; non che, anche dopo essere stata sollevata dalla rivelazione a conoscerli, possa arrivare a comprenderli; ma n’intende abbastanza (mi servo della bella distinzione ricavata da questa filosofia medesima) per vedere che le sono superiori, non opposti, e che è quindi assurdo il negarli; n’intende abbastanza per trovare in essi la spiegazione di tanti suoi propri misteri: come è del sole, che non si lascia guardare, ma fa vedere. Non che, dico, le più elevate e sicure speculazioni della filosofia possano mai produrre la sommissione dell’intelletto alla fede; che sarebbe un levar di mezzo questa sommissione medesima; cioè non sarebbe altro che una grossolanissima contradizione. Ma, siccome i falsi concetti, i sistemi arbitrari intorno alla natura dell’uomo, e ai più alti oggetti della sua cognizione, possono opporre, e oppongono in effetto, degli ostacoli speciali a questa sommissione (giacchè, essendo la verità una, ciò che è contrario ad essa nell’ordine naturale, viene ad esserle anche nell’ordine soprannaturale, quando l’oggetto è il medesimo), così una filosofia attenta a riconoscere in qualunque oggetto ciò che è, senza metterci nulla di suo, può, sostituendo de’ concetti veri ai falsi, rimovere quegli ostacoli speciali; dimanierachè, scomparsa l’immaginaria repugnanza della ragione con la fede, non rimangano se non le repugnanze che Dio solo può farci vincere: quelle del senso e dell’orgoglio. In questa maniera la filosofia di cui parliamo è una filosofia cristiana; ma vi par egli che sia a scapito della ragione? E che? si vorrebbe forse, che, per esser razionale, per rimaner libera, una filosofia dovesse pronunziare o ammettere a priori, che tra la ragione e la fede c’è repugnanza? cioè, o che l’intelligenza dell’uomo è illimitata, o che è limitata la verità? Questo sì, che sarebbe anti-razionale, anti-filosofico, per non dir altro. Questa sì, che sarebbe servitù, e una tristissima servitù. Le tengano dietro, passo passo, a questa filosofia; e quando trovino che o sciolga o tronchi con l’autorità della fede questioni filosofiche, dicano pure che cessa d’esser filosofia. Ma sarebbe una ricerca vana; e è più spiccio, per gli uni l’affermare, per gli altri il ripetere. F non voglio dire però, che una scienza ignara della rivelazione sarebbe potuta arrivare tanto in là, e abbracciare un così vasto e ordinato complesso; ma, qual maraviglia, che, venendo la ragione e la fede da un solo Principio, quella riceva lume e vigore da questa, anche per andare avanti nella sua propria strada? È il caso opposto, e insieme perfettamente consentaneo a quello che ho accennato dianzi. Come gli errori scientifici possono nella mente dell’uomo, essere ostacoli alla fede; così le verità rivelate possono essere aiuti per la scienza: poichè, facendo conoscer le cose nelle loro relazioni con l’ordine soprannaturale, le fanno necessariamente conoscer di più; e quindi la scienza può procedere da un noto più vasto alle ricerche e alle scoperte sue proprie. Ora l’accrescere le forze d’una facoltà, è forse uno snaturarla? Il somministrarle novi mezzi, è forse un distruggerla? E una cosa perduta di notte, non è forse più quella, quando si sia ritrovata di giorno? E la dimostrazione lascia forse d’essere l’istrumento proprio e legittimo della filosofia, quando la mente sia stata aiutata a trovarla da qualcosa di superiore alla filosofia? Quando per esempio, que’ due filosofi, il vescovo d’Ippona e il frate d’Aquino, osservano, e pretendono di dimostrare che, in ogni creatura, si trova una rappresentazione della Trinità (nelle ragionevoli,